Se all’Onu hanno la palla di vetro e diventano strabici
A giugno 2018 gli Stati Uniti si ritirarono dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e Nikki Haley, ambasciatore Usa presso il Palazzo di vetro, dichiarò apertamente che l’istituzione era “protettore dei molestatori dei diritti umani e un pozzo nero di pregiudizi politici”.
Commissario dell’Onu era il principe giordano Zeid Raad al-Hussein. Dal 1° settembre 2018 gli è succeduto la cilena Michelle Bachelet, socialista ed ex presidente del Cile.
Nel discorso di insediamento la sudamericana annunciò: “Abbiamo intenzione di inviare personale in Italia per valutare il riferito forte incremento di atti di violenza e razzismo contro migranti, persone di origini africane e rom”.
Nel frattempo qualcosa è accaduto sul pianeta ma di provvedimenti Onu non se ne è sentito parlare.
La Bachelet non deve essere una grande ammiratrice del nostro Paese ed in questi giorni ha puntato ancora una volta l’indice accusatorio verso Roma.
La Bachelet ed il foltissimo gruppo dimorante nel Palazzo di vetro sottoscrivono e divulgano una indignata lettera di 11 pagine in cui si sottolinea la pericolosità della misura legislativa sul decreto sicurezza fortemente voluto da Matteo Salvini.
La cilena ed il suo entourage sono talmente bravi, rapidi e preveggenti da anticipare la realtà. Forse anche prevenuti ed invidiosi perché quel provvedimento non è ancora stato neppure presentato in Consiglio dei Ministri per l’approvazione e sono in pochissimi a conoscerne il testo soggetto a modifiche.
Un’iniziativa sciocca ed avventata che mostra chiaramente il rancore nei confronti del ministro dell’Interno che ha liquidato la notizia degna di essere trasmessa su “scherzi a parte”.
Iniziativa che ha irritato anche l’altro vice premier, Luigi Di Maio, che ha dichiarato: “Mi sembra surreale che l’Onu commenti un decreto non ancora discusso in consiglio dei Ministri e che io neanche ho letto nel suo testo ufficiale”.
I bacucconi dell’Onu evidentemente vogliono fare strenua concorrenza ai loro colleghi di Bruxelles.
Non l’ha presa bene Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Esteri, che ha scritto a New York chiedendo chiarimenti sulla cervellotica iniziativa.
Bachelet farebbe bene a volgere lo sguardo altrove magari in direzione dell’Arabia Saudita accusata di aver fatto a pezzi l’oppositore Jamal Khashoggi, di detenere e torturare le donne colpevoli di battersi per i propri diritti e di aver mandato al patibolo decine di militanti sciiti tra cui alcuni leader religiosi.
Farebbe bene a guardare cosa accade in Cina accusata di deportare milioni di musulmani in veri epropri lager, oppure ad interessarsi di quanto accaduto in Egitto, le cui forze dell’ordine o i cui servizi di sicurezza sarebbero implicati nella morte di Giulio Regeni, e che a distanza di anni ancora nulla è trapelato sulla vicenda. Ci sarebbe anche da comprendere cosa succede in quell’Eritrea di Isaias Afwerki il quale utilizza la coscrizione obbligatoria dai 18 ai 50 anni per controllare la popolazione maschile e garantirsi manovalanza a costo zero.
È facile comprendere che le distanze e la lingua a volte sono difficili da superare, però il Venezuela adotta lo stesso idioma e non vi sono oceani che lo separano dal Cile per cui dovrebbe sapere delle tragedie che sta vivendo quel Paese oppresso da un regime rosso violento.
Ma tra Bachelet ed il dittatore comunista Maduro vi è una sottile simpatia, tant’è che l’Onu riconosce come ambasciatore del Venezuela Maria Gabriela Chavez, la figlia del defunto dittatore Hugo Chavez di cui Maduro è l’erede.
La Chavez, in virtù delle fortune ereditate dal padre grazie al narco-traffico e alla razzia delle risorse petrolifere nazionali, controlla tutt’oggi, secondo la rivista Forbes, depositi per 4 miliardi di dollari nelle Andorre e negli Stati Uniti.
Nel Palazzo di vetro del resto sono abituati a ben di peggio. L’Alto commissariato per i rifugiati, l’altra agenzia Onu sempre in prima fila nell’attaccare l’Italia, ha «segretato» per 17 anni un’indagine interna del 2001 da cui emergevano le responsabilità di 67 suoi funzionari impiegati nei campi profughi dell’Africa Occidentale
dove la distribuzione di aiuti alimentari era condizionata allo sfruttamento sessuale di donne e bambini. Grazie ad una meticolosa operazione d’insabbiamento nessuno dei 67 responsabili è mai stato deferito all’autorità giudiziaria e soltanto dieci di loro sono stati licenziati. Allo stesso modo sono state sepolte le decine di inchieste sugli abusi sessuali commessi negli ultimi 50 anni dai Caschi blu in Africa.
E una cortina d’imbarazzato silenzio è calata persino sulle molestie sessuali subite nel 2017 – in piena epoca #MeToo – da alcuni dipendenti dell’Alto commissariato per i rifugiati vittime di 31 loro focosi dirigenti.
Ma la commissaria e compagna Bachelet, paladina della guerra al razzismo in Italia, di tutto questo preferisce, ovviamente, non parlare. Il suo spettro si chiama Matteo Salvini, l’uomo tetro del pianeta.
Niccolò Rejetti
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