I prezzi troppo bassi sugli scaffali specchio per le allodole
Nei giorni scorsi la Conad ha acquisito oltre 1600 supermercati Auchan e Simply in Italia.
Di fatto è divenuto il primo gruppo nazionale della grande distribuzione organizzata, GDO.
La sua quota di mercato del gruppo sale così dal 12,9% al 16,5%, mentre il fatturato passa da 13,4 a 17,1 miliardi di euro.
Il gruppo guidato da Francesco Pugliese diventa così leader incontrastato del settore, sopravanzando la rivale Coop.
Ma chi comanda davvero nell’universo della grande distribuzione organizzata?
Qual è il ruolo dei discount in Italia? E tra sconti, aste e offerte, quali sono gli anelli deboli della catena?
Alcune risposte si trovano nel volume uscito da poco Il grande carrello. Chi decide cosa mangiamo (Laterza, Bari, 2019, pp. 119), firmato da Stefano Liberti, giornalista, e da Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! onlus.
La tesi del libro è che la concorrenza tra supermercati, basata esclusivamente sul prezzo, impone alle catene di sedurre i consumatori con offerte sottocosto e parecchio allettanti.
Per garantire prezzi bassi, però, la grande distribuzione necessariamente deve rifornirsi al più basso costo possibile dai produttori, i quali per tenere in ordine i conti delle loro aziende medio-piccole, si vedono obbligati a ridurre all’osso gran parte dei costi di produzione, in particolare i corrispettivi per la manodopera dei lavoratori.
Manodopera che nei campi, già da diverse stagioni, non sempre è di nazionalità italiana.
A monte della pasta venduta sottocosto nel supermercato, vi è inevitabilmente una piccola azienda che entra in affanno e un produttore di grano che non riesce più a vendere il proprio prodotto, perché il pastificio preferisce comprare il grano canadese, più economico.
Dietro la passata di pomodoro venduta in 3×2 ci potrebbe essere un’industria di trasformazione che ha accettato una commessa poco vantaggiosa, pur di non perdere l’accesso al mercato.
Il libro presenta uno studio sui consumi, sulle nostre abitudini alimentari e sull’influenza che la grande distribuzione esercita su consumatori e produttori.
Muovendo le leve del marketing emozionale, le grandi insegne orientano le nostre abitudini d’acquisto.
Servendosi invece della posizione dominante acquisita sul mercato, le catene impongono ai produttori medio-piccoli modalità di accesso agli scaffali che finiscono per generare lavoro a basso costo e bassa qualità.
Tutto in nome di offerta e sottocosto che rappresentano ormai un trend per distributori e consumatori.
I rapporti di forza tra piccoli produttori e grande distribuzione pendono a favore delle grandi insegne sostanzialmente perché quasi 3 acquisti alimentari su 4 oggi si verificano in un punto vendita della grande distribuzione organizzata.
Sono questi numeri a delineare il potere contrattuale che la GDO esercitano sui piccoli produttori, costretti a fare carte false pur di intercettare la mole di consumatori che si servono esclusivamente nei supermercati.
La GDO si sente libera di adoperare meccanismi che mettono in grande difficoltà i piccoli produttori.
Per ospitare i prodotti sugli scaffali, i supermercati chiedono ai singoli fornitori di versare un corrispettivo chiamato listing fee, una sorta di tassa per l’esposizione più o meno in evidenza.
“I grandi gruppi industriali non pagano la listing fee, perché un supermercato che non ha la Coca-Cola o la pasta Barilla rischia di perdere clienti.
Ma piccole e medie imprese dovranno pagare una tariffa non indifferente per avere l’onore di vedere esposti i propri prodotti”, fanno notare Ciconte e Liberti.
Anche il meccanismo delle aste al ribasso contribuisce a mettere in difficoltà i produttori.
Per proporre una passata di pomodoro a 0,39 e un pacco di pasta a 0,49 centesimi mettono contemporaneamente in competizione vari fornitori, per acquistare il prodotto finale al prezzo più basso possibile.
Il gruppo manda alle aziende produttrici una mail chiedendo di presentare un’offerta.
Raccolte tutte le proposte, convoca una nuova gara dove la base d’asta è l’offerta più bassa fra quelle presentate.
Il tempo per rilanciare in questa seconda fase è molto limitato.
Pochi minuti per dire sì o no a una commessa di migliaia di bottiglie o di scatole.
Commesse non indifferenti per produttori che hanno come principale canale di vendita, appunto, i supermercati.
Piero Vernigo
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