L’esito del voto decide la fusione Unicredit-Commerzbank
Unicredit non ha firmato alcun mandato ad advisors per mettere a punto una possibile offerta su Commerzbank.
A prima vista la nota emessa ieri sera dall’istituto su richiesta della Consob dovrebbe mettere a tacere le voci sollevate dalle indiscrezioni lanciate da Reuters su un mandato affidato a Lazard e JP Morgan in vista di un’offerta per la seconda banca tedesca, partecipata al 15% dal ministero delle Finanze tedesco.
A rafforzare il tono della smentita, per giunta, nella nota si ribadisce che “la banca è focalizzata sul proprio piano industriale, basato sulla crescita organica” che sarà illustrato al mercato il prossimo 3 dicembre.
Piazza Affari ha preso atto della precisazione che è in sintonia con le ultime dichiarazioni del ceo Jean Pierre Mustier: fusioni transfrontaliere, ha sostenuto lunedì a Londra, oggi sono ostacolate dalla differenza di regole e dal diverso livello dei tassi.
Nel frattempo, dalla Germania è prevedibile l’ostilità dei sindacati: l’eventuale fusione tra Commerzbank, la seconda banca commerciale tedesca, e Hvb, la controllata d’oltre Reno di Unicredit, non potrebbe che comportare tagli sui costi, a partire dal personale.
La prospettiva di un accordo con un istituto italiano, poi, ha già suscitato più di una perplessità, vista la forte presenza di titoli del debito italiano nel portafoglio della banca di piazza Gae Aulenti.
Eppure, nonostante queste indicazioni di segno contrario, più di una ragione consiglia di seguire con attenzione il dossier.
Ci sono, innanzitutto, motivazioni generali a favore dei matrimoni tra le banche europee, ben illustrate sul Sole 24 Ore da Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Genérale (altro possibile partner di Unicredit): “Nell’ultimo anno l’esigenza di un processo di aggregazioni cross-border nel settore bancario europeo non si è ridotta. Anzi, è aumentata perché la redditività è sempre più condizionata negativamente dal rallentamento dell’economia e dallo scenario di tassi di interesse vicini allo zero per un lungo periodo: c’è il rischio, in prospettiva, che le banche europee diventino vittime di una “sindrome giapponese”.
L’alternativa all’integrazione, aggiunge l’ex membro del direttorio Bce, è che “l’unica leva per aumentare la redditività sia il taglio dei costi che inevitabilmente porta alla riduzione del perimetro delle attività. Così però si va verso banche sempre più piccole e più fragili, creando un circuito perverso”.
Particolarmente insidioso per l’Italia in vista di una stagione difficile per il debito pubblico.
I vertici di Unicredit sono senz’altro sensibili al problema.
Lo stesso Mustier ha comunicato l’intenzione di voler ridurre l’ammontare del Btp in portafoglio, oggi pari a 58 miliardi di euro (cifra che vale circa la metà del portafoglio titoli governativi (e circa il 7% degli attivi), indice della vulnerabilità del settore.
Specie se, come accaduto lo scorso anno, i titoli italiani dovessero tornare nel mirino della speculazione quando ci sarà da negoziare con l’Ue la prossima legge di bilancio(una strada che si annuncia in salita alla luce dei 23 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare).
Tra i Paesi europei l’Italia è quello in cui le banche sono in assoluto più esposte al rischio sovrano (in media i BTp valgono il 10,7% del totale degli attivi in Italia contro il 7,6% della Spagna) e questo primato si paga tutte le volte che lo spread sale andando a erodere il capitale di vigilanza delle banche.
Di qui la necessità di disinnescare la mina del rischio sovrano, esigenza che ben si sposa con l’obiettivo di un merger internazionale.
La stessa cessione del 18% di Fineco Bank, che ha portato al deconsolidamento dell’istituto guidato da Alessandro Foti dal gruppo Unicredit, oltre ad irrobustire il Cet 1 dell’istituto, potrebbe favorire l’investimento in Commerzbank, banca che non ha ancora assorbito l’impatto dell’acquisizione di Dredsner Bank, ad un passo dal crack.
Dal punto di vista politico l’operazione potrebbe risultare per la Germania meno indigesta di quanto non appaia a prima vista.
Una fusione carta contro carta potrebbe avvenire attraverso Hvb, la controllata tedesca di Unicredit, sotto la lente della Bafin e della Bundesbank.
La quota di mercato combinata delle due banche in Germania raggiungerebbe il livello del 9%.
La capitalizzazione combinata ammonterebbe a 34 miliardi di euro.
Insomma, le basi per un matrimonio già annunciato dal Financial Times ancor prima che fallissero le trattative tra Commerzbank e Deutsche Bank, ci sono.
Ma le difficoltà, politiche ancor più che finanziarie, sono tante.
Molto dipenderà dall’esito del voto europeo, decisivo per il completamento dell’Unione bancaria.
Anselmo Faidit
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