Crolla Macron e Merkel perde, Salvini e Le Pen ai vertici
Il Parlamento europeo esce più frammentato che mai e si disgrega il classico bipolarismo Popolari-Socialisti. I Popolari restano prima forza europea, ma perdono voti, specie in Germania. Reggono o crescono solo quando aprono a destra, ai temi sovranisti. Gli exploit sono soprattutto sul fronte dei Liberaldemocratici dell’Alde, la forza più europeista.
I Verdi crescono, ma non sfondano (tranne che in Germania).
Ma comunque registra due record: in Francia la Le Pen supera Macron e, con Salvini, la Lega, per la prima volta nella sua storia quarantennale, diventa il primo partito italiano.
Intanto il Regno Unito conferma la sua volontà di uscire dall’Ue: il Brexit Party di Nigel Farage diventa il primo partito britannico.
Il Parlamento europeo esce più frammentato che mai e si disgrega il classico bipolarismo Popolari-Socialisti. Gli exploit di forze nuove sono soprattutto quelli di Verdi e Liberaldemocratici, mentre l’ascesa dei sovranisti, benché mediaticamente molto potente, è invece contenuta sia geograficamente che numericamente.
Seppure per i dati definitivi si debba ancora attendere, dopo il voto nei 28 Paesi europei, questa tendenza alla frammentazione è già ben visibile.
Fino al 2014, Popolari e Socialisti, assieme, superavano sempre il 50% dei seggi. Adesso non lo raggiungono. Nemmeno ipotizzando una “grande coalizione” i tradizionali partiti di centrodestra e centrosinistra potrebbero formare una maggioranza. Socialisti o Popolari dovrebbero fare gruppo assieme ai Liberaldemocratici o ai Verdi (o a entrambi).
Da un punto di vista geografico, l’Europa appare ancora, dal centro a tutto l’Est, più l’Irlanda, come un grande lago azzurro (colore del Ppe). Quel che cala è il suo peso specifico.
L’asse portante del Ppe, l’alleanza tedesca fra Cdu-Csu, resta prima forza in Germania ma subisce una flessione notevole, perdendo almeno il 7% dei consensi e attestandosi sotto il 30%, uno dei peggiori risultati della sua storia.
Trionfa con il 52% il partito Fidesz ungherese di Viktor Orban, sospeso dai Popolari europei perché troppo di destra.
E nonostante lo scandalo dell’Fpö di Strache in Austria (sorpreso a prendere una tangente di un oligarca russo), regge il suo alleato Popolare di Kurz. E anche lo stesso Fpö perde meno punti del previsto.
I paesi in cui i Popolari arrivano primi in modo più agevole sono tutti i Paesi dell’Est ex comunista, dove hanno programmi e tendenze più nazionaliste rispetto alle analoghe formazioni occidentali.
Vince la sua sfida, per altre ragioni, anche Nuova Democrazia, il partito greco conservatore che ha superato la coalizione di Tsipras e probabilmente provocherà elezioni anticipate.
I Socialisti e Democratici (S&D) perdono queste elezioni, così come hanno perso le scorse, ma possono vantare alcuni buoni successi perché arrivano primi in Spagna, in Portogallo, Olanda e Svezia. Ma la loro è una forza calante. In Germania l’Spd non è neppure più il secondo partito.
I Verdi crescono, ma il loro successo non dovrebbe essere sopravvalutato. Non hanno raggiunto la prima posizione in nessun Paese europeo. Sono diventati secondo partito in Germania dove hanno raddoppiato i loro consensi (dal 10 al 20%) e hanno superato l’Spd.
Anche in Finlandia, per la prima volta, superano i socialdemocratici e si attestano come secondo partito. I Verdi scompaiono del tutto dal panorama politico sia nel Sud che nell’Est del vecchio continente.
Il vero exploit, semmai, è quello dei Liberaldemocratici (Alde), la forza più europeista, rappresentata da Guy Verhofstadt, caratterizzata da un’agenda massimalista di unificazione continentale (Stati Uniti Europei).
Il successo dei Liberaldemocratici, che possono raddoppiare il numero di eurodeputati rispetto al 2014 (da 67 attuali agli oltre 100 previsti), è dovuto alla buona affermazione di partiti loro affiliati, che diventano primi in Danimarca, Estonia, Repubblica Ceca e Lussemburgo.
Sono ben piazzati anche in Francia (dove Alde è rappresentato dalla coalizione di Macron, seconda forza nel Paese), Irlanda (secondo partito), Olanda (secondo partito), Romania (terzo partito), Slovacchia (secondo partito), Slovenia (terzo partito) e si piazzano bene in quasi tutti gli altri paesi, specie nell’Europa occidentale.
In controtendenza l’Italia, dove +Europa, la formazione della Bonino affiliata all’Alde, non passa neppure la soglia di sbarramento.
I sovranisti sono arrivati primi in Francia e in Italia.
Ma a voler ben vedere l’unico risultato eclatante è quello della Lega in Italia, perché in Francia Marine Le Pen prende una percentuale di voti leggermente inferiore a quella delle europee del 2014 e nettamente inferiore rispetto alle elezioni presidenziali del 2017.
La Francia fa comunque notizia, perché la Le Pen supera Macron: più che una vittoria della prima, appunto, si deve leggere come un segnale di sfiducia nei confronti del presidente.
Altrove non si notano grandi affermazioni di partiti sovranisti, che ovunque crescono poco, calano poco o si confermano ai livelli precedenti.
Tuttavia va letto anche il dato che non si vede: alcuni partiti di centrodestra affiliati ai Popolari, specie nell’Europa centro-orientale hanno una forte anima sovranista e potrebbero confluire in un nuovo gruppo, alternativo al Ppe, se la Le Pen e Salvini facessero da catalizzatori.
I conservatori euroscettici quelli affiliati all’Ecr (in Italia rappresentato da Fratelli d’Italia) sono primo partito nel Belgio, cuore dell’Europa.
Ma l’anima del conservatorismo europeo, il partito britannico dei Tories, è sparita.
Dopo la crisi della Brexit e le dimissioni annunciate da Theresa May, i Conservatori sono stati letteralmente confinati in una nicchia: non raggiungono il 10% dei voti, diventati il quinto partito.
A prenderne il posto, con oltre il 32% dei voti, è il nuovissimo partito di Nigel Farage, lanciato in aprile dopo che è stata mancata la scadenza della Brexit del 29 marzo. Il suo nome è: Brexit Party ed è attualmente la prima forza politica britannica.
E questo dovrebbe dire molto a tutti quelli che ancora credono che gli inglesi siano pentiti dalla Brexit. Il risultato di questo voto è chiaro: il Regno Unito vuole uscire da questa Europa, ideologicamente molto più frammentata che mai.
Arnaud Daniels
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