I continui scivoloni del ministro Elisabetta Trenta
Le contestazioni e le polemiche sorte intorno alla cerimonia e alla parata militare del 2 Giugno rappresentano solo l’apice di una crisi che ha investito la Difesa con l’insediamento a Palazzo Baracchini del ministro Elisabetta Trenta.
A discapito della sua autoproclamata esperienza nel settore specifico, la Trenta in realtà ha effettuato appena due richiami da riservista in Iraq e Libano occupandosi di cooperazione civile militare, non certo di pianificazione o gestione operativa né sembra comprendere le dinamiche legate all’industria nazionale della Difesa e all’acquisizione degli equipaggiamenti.
Dopo un anno di chiacchiere non ha preso decisioni sul taglio o meno della commessa per 90 caccia bombardieri statunitensi F-35 (promesso da M5S) né è riuscita finora a rispondere alla lettera con cui Londra chiedeva già nell’inverno 2018 a Roma chiarimenti sul nostro impegno sul programma CAMM ER.
Il missile dovremmo svilupparlo insieme ai britannicinell’ambito dell’azienda europea MBDA (detenuta al 25% da Leonardo, ex Finmeccanica) ma è già richiesto da clienti stranieri.
In pratica ci costerebbe poco più di mezzo miliardo di euro in 12 anni ma garantirebbe lavoro, assunzioni e commesse per molti anni nello stabilimento MBDA di Fusaro (Napoli), cioè nel collegio elettorale di Luigi Di Maio che ha imposto alla Trenta lo stop al programma.
Una decisione che rischia di lasciare l’Italia senza difesa aerea missilistica, cioè nell’incapacità di ospitare anche un summit internazionale o un evento sportivo di rilievo considerato che oggi le misure antiterrorismo standard internazionali richiedono la presenza di batterie antiaeree per fermare eventuali velivoli pilotati da terroristi suicidi.
Messa sotto schiaffo da Di Maio, la Trenta non è stata in grado finora di precisare a quanto effettivamente ammontino i tagli alla Difesa attuati quest’anno.
Il ministro è politicamente debole, pagando il prezzo di non essere parlamentare né dirigente di M5, ma soffre persino il confronto con i suoi sottosegretari.
Ha subito pesanti critiche dal pentastellato Angelo Tofalo, di cui sembrano imminenti le dimissioni (poi rientrate) e cerca in ogni modo di boicottare il leghista Raffaele Volpi, di cui teme la preparazione e che tra le tre figure politiche al vertice del ministero della Difesa appare come il più qualificato e incisivo su tutti i temi e in particolare su quelli legati a industria e interessi nazionali.
Difficoltà e inesperienza della Trenta nel gestire critiche e confronto politico sono emerse anche in Senato, dove all’intervento di Isabella Rauti (FdI) che aveva infatti definito la parata del 2 giugno “peace and love” la Trenta ha replicato nell’emiciclo con “peace and love a lei…“, mimando un gesto che la presidente Casellati ha etichettato “non idoneo a quest’aula”.
Una inadeguatezza che non a caso ha fatto entrare già da molti mesi il ministro Trenta nella rosa delle possibili vittime di un rimpasto, insieme a Danilo Toninelli, Giulia Grillo e Sergio Costa.
Di fatto la Trenta si è distinta in questo anno alla Difesa solo per il contestato progetto di sindacalizzazione delle forze armate, che assieme al disarmo rischia secondo molti di annullare la residua efficienza del nostro apparato militare.
Rimasti impressi nella memoria sono anche i video e le foto buonisti(e tecnicamente improvvisati) diffusi in occasione del 4 novembre mentre negli ultimi giorni ha fatto scalpore la decisione di dedicare la cerimonia del 2 Giugno alla “inclusività”.
Ammesso che abbia un senso considerare la Festa della Repubblica come una canzonetta melodica da dedicare ad amici, parenti e fidanzati tramite la radio locale (il presidente della Camera, Roberto Fico, l’ha dedicata a rom e immigrati), è evidente che le polemiche esplose in questa occasione sono il frutto della compressione che da un anno opprime gli apparati militari.
Chi è in servizio soffre in silenzio, “uso obbedir tacendo”, ma fatica a digerire le intrusioni di campo e le scorrettezze di un ministro che pretende di decidere a quali reparti debbano essere assegnati gli aerei (come nel caso del secondo F-35B conteso tra Marina e Aeronautica) o che spesso si espone nel confronto politico senza esserne all’altezza per poi non esitare a imporre alla comunicazione dello Stato Maggiore Difesa di emettere comunicati di sostegno al suo operato, mescolando così la politica col ruolo istituzionale della comunicazione militare.
Di certo nessuno ha dimenticato il “caso Riccò” e l’intervento salomonico della Trenta che ha messo sullo stesso piano il generale (pluridecorato in Somalia e Afghanistan) che a Viterbo abbandonò il palco delle celebrazioni del 25 aprile con l’esponente locale dell’Anpi che in quell’occasione insultò i militari per ipotetici crimini di guerra compiuti in Afghanistan.
Così come hanno lasciato il segno anche le battute del premier Giuseppe Conte sui 5 fucili sotratti ai militari per finanziare borse di studio “di pace”.
Chi l’uniforme l’ha dismessa per andare in pensione non ha peli sulla lingua, come i generali Mario Arpino, Vincenzo Camporini e Leonardo Tricarico che hanno rifiutato di presenziare alla parata pur se tra le contestazioni espresse al ministro Trenta figura anche il taglio alle loro pensioni.
Di “dilettantismo e inadeguatezza” ha parlato esplicitamente Tricarico mentre Camporini, oggi vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), denuncia le “troppe disattenzioni del governo nei confronti dei temi della Difesa – spesso snaturata con un’ipocrita enfasi sul ‘dual use‘, a partire dalla perdurante mancata presentazione del ‘decreto missioni’, dalla sostanziale paralisi delle attività amministrative per l’ammodernamento dei mezzi, da dichiarazioni di vuoto pacifismo del presidente del Consiglio e potrei continuare”.
Maggiori dettagli circa le critiche espresse dallo IAI alla gestione attuale della Difesa sono emerse in un rapporto che parla esplicitamente di “spese per la difesa in gestione confusionale”.
Il “no” dei generali ha avuto ampi risvolti politici con l’assenza alla manifestazione del 2 Giugno anche dell’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa (assente anche la leader di FdI Giorgia Meloni), arrivato a chiedere le dimissioni del ministro Elisabetta Trenta dopo le parole di Fico.
Una scelta non condivisa da tutti i generali in pensione, ma “compresa” da molti incluso l’ammiraglio Giampaolo Di Paola ex capo di stato maggiore Difesa ed ex ministro della Difesa del governo Monti.
Per rispondere alla “rivolta dei generali in pensione”, la Trenta ha ancora una volta utilizzato in modo arbitrario la comunicazione dello Stato maggiore Difesa, imponendo evidentemente ai militari di difendere ancora una volta il suo operato come aveva già fatto in passato in occasione delle polemiche con Matteo Salvini.
“Lo Stato Maggiore della Difesa si dissocia da ogni polemica o presa di posizione personale che possa minare la coesione politico-istituzionale necessaria per il regolare svolgimento dei compiti propri delle Forze Armate” recita un comunicato che più signorilmente avrebbe dovuto essere emesso dal portavoce del ministro invece che dall’istituzione militare.
Un ennesimo scivolone che conferma l’estrema fragilità politica del ministro Trenta.
Guglielmo d’Agulto
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