La notte della sinistra, le debolezze della gauche italiana
È lo strano destino della sinistra italiana quello di essere analizzata e giudicata dai suoi stessi iscritti, votanti e simpatizzanti.
Uno degli esempi più eclatanti fu Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa, edito nel 2003, che scoperchiò il pentolone dei misfatti compiuti dai partigiani dopo l’8 settembre 1943.
Ora è Federico Rampini nel suo “La notte della sinistra” a raccontare errori e strafalcioni commessi negli ultimi tempi dagli eredi del fu Pci.
Per non creare dubbi e perplessità sulle 168 pagine il pluridecorato giornalista e scrittore genovese sin dal primo capitolo, “Dalla parte dei deboli … solo se stranieri?”, affonda il dito nella piaga partendo dalla gauche en cachemire parigina del compianto François Mitterand degli anni Ottanta.
Le periferie e i grandi obbrobri dell’edilizia moderna sono sempre stati i serbatoi dei comunisti e dei socialisti, quartieri dormitorio destinati agli operai, a piccoli e piccolissimi commercianti e artigiani.
Ed è da quelle banlieu che Jean-Marie Le Pen, il padre di Marine, iniziò la sua scalata al potere centrale e proseguita con successo da sua figlia.
Nella banlieu parigina, rossa da sempre, Jean-Marie riuscì a convincere gli operai della Renault che i radical chic non avevano tempo per preoccuparsi dei disagi quotidiani creati da algerini, marocchini, tunisini.
Magrebini che spacciavano, taglieggiavano, imponevano la loro cultura e la loro legge e se la classe operaia non si adeguava le porte di un pronto soccorso si aprivano rapidamente.
Rampini sposta la telecamera dal V, VI e VII arrondissement al quartiere San Lorenzo di Roma anno 2018. Identiche scene e personaggi.
Trae questa conclusione: “Una delle frasi in codice che oggi ti fanno riconoscere come uno stimato opinionista di sinistra è che ‘dobbiamo essere dalla parte dei più deboli’. Sottinteso: purché i deboli siano stranieri, possibilmente senza documenti, meglio ancora se hanno la pelle di un colore diverso dal nostro. Sono deboli se corrispondo a questa descrizione”.
Se oggi milioni di connazionali impossibilitati a condurre una vita dignitosa hanno voltato le spalle alla sinistra è perché la sinistra “ha smesso di essere popolare: ha perso la rappresentanza di vasti ceti medio-bassi”.
Classe operaia che è stata tradita anche negli Usa, dove un tempo gli operai della Ford, General Motors, Crysler, votavano per Barack Obama oggi hanno votato per Donald Trump.
Il coraggio di osservare la realtà quotidiana senza lenti colorate e di convenienza.
È il morbo che ha colpito la sinistra italiana ed europea che ha consentito alla destra di compiere passi da gigante in pochi mesi.
La gauche salottiera inventandosi una sua realtà si è allontanata da milioni di elettori proletari tant’è che nei quartieri popolati delle grandi città avanza e si fortificano le destre, non quelle estreme, mentre nei rioni elitari i dirigenti ex socialisti ed ex comunisti godono di maggioranza relativa e a volte anche assoluta.
Si tratta solo di coincidenze e casualità?
“La democrazia liberale richiede governi che sappiano far rispettare le regole del gioco, garantire la certezza della legge. Richiede in altri termini uno Stato forte; dei cittadini che vedano il governo come legittimo, rispettino le regole democratiche, obbediscano alle norme.
Nella storia d’Europa le democrazie liberali si sono consolidate solo in paesi che possedevano Stati forti e un sentimento di unità nazionale”.
Nascondersi dietro il paravento del ritorno del fascismo o il pericolo del razzismo significa non avere soluzioni e non volerne cercare al malessere diffuso della collettività.
Nel 1958 la Francia si dava un assetto istituzionale stabile e decisionista con la riforma costituzionale e la Repubblica semipresidenziale, tutta la sinistra europea, ed in particolare quella francese ed italiana, osteggiarono il generale leader della resistenza antifascista, Charles De Gaulle, etichettandolo come un golpista o quasi ma la storia ha chiarito ed espresso il suo parere.
Molte riforme nel nostro Paese sono naufragate per futili motivi, dietro ogni naufragio vi è sempre stata la presunta intellighentsia rossa che preferiva uno Stato debole e incapace, assimilando, ottusamente, Stato forte a fascismo.
Negli anni Sessanta gli ultras della sinistra considerava la Democrazia Cristiana serva dell’America e del grande capitale, disprezzava la nostra Repubblica definendola “democrazia borghese”.
Tali aberrazioni partorirono la cultura delle ‘brigate rosse’ e le decine di morti per mano di codardi assassini.
La sinistra paga il fallimento di ogni riforma seria della pubblica amministrazione per renderla snella ed efficiente. La sinistra ha sempre voluto investire nei ‘servizi pubblici’ ma se questi non funzionano la colpa dove va cercata?
La gauche non ha voluto comprendere che nell’emisfero occidentale vige la regola della meritocrazia e non quella del voto politico e del diploma per tutti.
Non ha voluto trasmettere la coscienza nazionale e l’amore alla patria anteponendo l’Europa all’Italia, errore gravissimo che non hanno commesso tedeschi e francesi i quali
“mai per un solo attimo dimenticano di difendere con determinazione gli interessi del proprio Paese”.
Una sinistra che oggi è vittima di sé stessa e dell’ingordigia di potere del suo vertice. Una sinistra che censura al recente Salone del Libro la casa editrice Altaforte e la presentazione del volume
“Io sono Matteo Salvini” firmato da Chiara Giannini e pubblicato da Altaforte.
Casualmente, ma non troppo, il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, il quale si era battuto per escludere la casa editrice dalla manifestazione, alle consultazioni regionali del 26 maggio è stato sonoramente sconfitto da Alberto Cirio, candidato del centrodestra.
Forse non è successo casualmente.
Conoscendo il pensiero e il passato di Federico Rampini non si nutrono dubbi sulla sua onestà intellettuale e sul suo coraggio nell’esprimere le proprie idee, però per quei pochi che non lo conoscono il dubbio e l’interrogativo sorge spontaneo: “Ma Rampini è un leghista?”.
Bruno Galante
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