La regione più tartassata d’Italia è la Lombardia
Sono i cittadini lombardi a versare più tasse al fisco. Nel 2017 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), ogni residente di questa regione ha pagato mediamente 12.297 euro tra tasse, imposte e tributi.
Seguono i valdostani con 11.480, gli abitanti del Trentino Alto Adige con 11.297 e gli emiliano-romagnoli con 11.252 euro.
La Calabria, invece, è l’area dove il “peso” del fisco è più contenuto: ogni residente di questo territorio ha pagato all’erario mediamente 5.516 euro.
Il dato medio nazionale è pari a 9.168 euro.
Questo risultato, segnala l’Ufficio studi della CGIA che ha realizzato questa elaborazione, non ci deve sorprendere. Come recita l’articolo 53 della Costituzione, il nostro sistema tributario è basato sul criterio della progressività.
Pertanto, nei territori dove i livelli di reddito sono maggiori, grazie a condizioni economiche e sociali migliori, anche il gettito tributario presenta dimensioni più elevate che altrove.
Questi dati, inoltre, consentono di fare una riflessione anche sul tema dell’autonomia differenziata. Un argomento, quest’ultimo, che nelle ultime settimane ha lacerato i rapporti all’interno della maggioranza ed ha contribuito a far scoppiare la crisi di governo.
Le divisioni emerse tra Lega e pentastellati sono state profondissime e in gran parte dovute a un approccio a questa riforma del tutto scorretto.
L’autonomia differenziata è stata vissuta come una contrapposizione tra Nord e Sud del Paese, invece, è una partita che si gioca tra il centro e la periferia dello Stato.
Tra chi vuole un’Amministrazione pubblica che funzioni meglio e costi meno e chi difende lo status quo, perché trasferendo funzioni e competenze ha paura di perdere potere e legittimità.
E per conservare posizioni che non sono più difendibili, i proponenti di questa riforma sono stati accusati di voler impoverire ulteriormente le realtà territoriali più in difficoltà del Paese.
Dalla CGIA, invece, sono convinti che questa riforma possa far bene a tutta l’Italia e non solo alle regioni che per prime hanno chiesto maggiore autonomia.
Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono le regioni che stanno vivendo la fase più avanzata di questa partita, ma altre 9, in forme diverse, hanno manifestato l’interesse ad avviare una trattativa con l’Esecutivo.
Più autonomia equivale a più responsabilità ed è evidente che i risparmi e l’extra gettito prodotto devono rimanere nei territori che li generano.
La responsabilità diretta sulle materie richieste da Zaia, Fontana e Bonaccini costringerà tutto il sistema Paese ad avere un maggior rigore nell’uso delle risorse.
Queste 3 regioni faranno da apripista, provocando un effetto trascinamento che ridurrà la spesa pubblica e innalzerà la qualità dei servizi erogati ai cittadini.
Ovvio che il probabile ritorno al voto nel prossimo autunno allungherà notevolmente i tempi di approvazione di questa riforma, ma solleva anche un’altra importante questione.
La crisi di governo rischia di far scattare l’esercizio provvisorio e, conseguentemente, l’aumento dell’Iva a partire dal prossimo 1° gennaio.
Una vera iattura che, secondo l’Ufficio studi della CGIA, penalizzerebbe le famiglie e i lavoratori autonomi.
Le prime perché subirebbero un forte aumento delle imposte sull’acquisto di beni e servizi.
Le seconde in quanto vivono quasi esclusivamente di domanda interna che con l’aumento dell’Iva quasi sicuramente sarebbe destinata a diminuire.
È interessante notare la distribuzione del gettito tra i vari livelli di governo.
Ebbene, su un totale nazionale di 9.168 euro, ben 7.672 euro finiscono nelle casse dello Stato centrale (pari all’83,7% del totale) e solo 1.495 euro pro capite (pari al 16,3%) confluiscono alle Regioni e agli Enti locali (Comuni, Province e Comunità montane).
Da un punto di vista metodologico i tributi analizzati in questa analisi sono riferiti al valore aggiunto generato nelle singole regioni.
Raimondo Adimaro
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