Le donne italiane portano sempre più pantaloni, gonne in calo
Nelle case italiane sono sempre di più le donne che “portano i pantaloni”.
È il caso di dirlo. Ma non si parla di rapporti fra i sessi o di condizione femminile.
Le donne portano sempre più pantaloni solo perché ne comprano tantissimi, mentre le vendite delle gonne sono in costante calo.
E in futuro il divario aumenterà ancora.
Nel 2018 le donne hanno acquistato quasi 130 milioni di pantaloni e appena 41 milioni di gonne
Dopo il calo tra il 2010 e il 2013 il loro numero dei pantaloni è aumentato costantemente e dovrebbe toccare nel 2023 la cifra record di 133,79 milioni di pezzi venduti.
Di contro, per le gonne è prevista una discesa verticale.
Nel 2010 ne erano state vendute più di 60 milioni, mentre nel 2023 il loro numero sarà quasi dimezzato.
Un trend il cui significato è che le abitudini delle donne italiane sta cambiando ad alta velocità.
Niente più gonne ma pantaloni alla moda reputati forse più adatti per lavorare (non è un caso che il tasso di occupazione femminile aumenta di pari passo).
Oltre ai pantaloni, l’unico capo che registra un segno positivo nelle vendite è il cappotto.
Ne sono stati acquistati più di 25 milioni nel 2018 e il loro numero dovrebbe aumentare fino al 2023, arrivando a toccare quota 27,88 milioni.
Tutte negative, invece, le vendite di giacche e tailleur (segno che l’abbigliamento elegante oramai non registra solo un calo al maschile), di maglie e maglioni e persino le vendite di camicette.
Il numero totale, che nel 2010 ammontava a quasi 82 milioni di pezzi, sprofonderà a 33,58 milioni nel 2023 (praticamente una camicia a testa, considerato che in Italia ci sono in totale circa 30 milioni di donne).
Nella moda maschile un dato balza agli occhi: il calo delle cravatte, a livello planetario.
Gli italiani comprano sempre meno cravatte. Nell’ultimo decennio le vendite hanno sempre registrato un calo, a eccezione del biennio 2014-2015.
Una tendenza che va di pari passo con il cambiamento del code dressing maschile nei luoghi di lavoro: l’ultimo caso è quello della banca d’affari americana Goldman Sachs che ha deciso di eliminare l’obbligo di indossare in ufficio giacca e cravatta per gli uomini e il tailleur per le donne.
Nel 2018 c’è stato un calo di vendita delle cravatte dell’1,5%, che si aggiunge al -6,3% del 2017 e al -8% del 2016.
Il segno positivo è stato registrato solo nel 2014 (+2,2%) e nel 2015 (con un timido +0,3%).
Prima di allora, le vendite sono sempre state in calo.
Il dato peggiore risale al 2013, in piena crisi economica.
In quell’anno le cravatte vendute sono state -16,1% rispetto alla stagione precedente. Male anche il 2012 (-10,2%) e il 2011, con un rosso del 14%.
Riscontro di questa crisi nel settore dell’abbigliamento elegante è la scelta di numerose aziende di permettere ai propri dipendenti di andare a lavoro con jeans e maglietta.
Una svolta casual che fa ancora più rumore se ad adottarla è una delle banche d’affari più famose al mondo, la Goldman Sachs.
L’annuncio è stato comunicato ai 36mila impiegati attraverso una nota interna: basta abito scuro, camicia, cravatta e mocassini, ora si potrà andare in ufficio con un abbigliamento meno impegnativo.
Ma quanto vale il mercato della moda in Italia?
Le cifre indicano per l’Italia una netta supremazia del mercato dell’abbigliamento maschile.
Sono infatti 20 miliardi e 800 milioni i ricavi dalle vendite di abbigliamento maschile in Italia nel 2018, mentre l’abbigliamento femminile si è fermato a 18 miliardi.
Significa che il mercato dell’uomo vale il 15,1% in più di quello della donna.
E l’Italia, in una classifica dominata dagli Stati Uniti e dalla Cina, è l’unico Paese tra i primi dieci a mostrare questa tendenza.
Il settore nel nostro Paese rappresenta il 4% del Pil nazionale.
Nel 2016 le vendite erano arrivate a quota 36 miliardi e 617 milioni di dollari, salite a 37 miliardi e 581 milioni nel 2017.
L’anno scorso si sono raggiunti i 38 miliardi e 800 milioni, mentre per quest’anno e per il 2020 le previsioni dicono che si sfonderà il muro dei 40 miliardi: 40 e 160 milioni nel 2019 e 42 miliardi e 070 milioni nel 2020.
Ciò è apparentemente contraddittorio rispetto al calo delle imprese artigiane del settore dell’abbigliamento.
Nel 2008 in Italia risultavano 37.449 imprese artigiane nel comparto.
Dopo otto anni, nel 2016, sono diventate 28.317 con un calo del 24,4%.
Un calo della stessa portata c’è stato anche nel numero di persone impiegate: -23,2% tra il 2008 e il 2016: si è passati da 218.755 lavoratori a 167.939.
Claudia Treves
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