Non brucia solo l’Amazzonia ed è solo colpa di Bolsonaro?
Sono già diversi anni che il polmone brasiliano del pianeta continua a bruciare e, stranamente, qualcuno se ne accorge solo nel 2019.
Coincidenza?
È un continuo discutere sull’eccessivo riscaldamento e sull’inquinamento della terra ma nessun governo interviene con risolutezza sulla questione per non intralciare i programmi della grande industria e del gran capitale.
L’argomento che ha catalizzato i quotidiani di mezzo mondo delle passate settimane è l’Amazzonia e gli incendi che la stanno devastando.
Tutti con l’indice puntato nei confronti del presidente brasiliano Jair Bolsonaro reo di non essere intervenuto con risolutezza e tempestività.
Il galletto Macron si è concesso alcune battute alle quali Bolsonaro ha risposta senza rifletterci più di tanto ed ovviamente son venute fuori battutacce poco eleganti degne delle migliori bettole portuali.
Un ammonimento più politico che pratico visto che il presidente carioca è stato eletto il 1° gennaio 2019 e tra le prime iniziative vi è l’estradizione del pluriomicida Cesare Battisti il quale dopo l’evasione del 1981 conduce una vita da turista in Francia poi in Messico, di nuovo in Francia e infine in Brasile nel 2004.
Coperto e protetto da varie logge gauche & cachemire sino al 1° gennaio.
Occorre precisare che l’Amazzonia per il 60% è in territorio brasiliano e l’altro 40% si estende tra Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù e Venezuela.
La Bolivia per i 38mila incendi registrati ha perso oltre 1 milione di ettari di foresta. Alla pari del Brasile anche qui gli incendi sono procurati dall’uomo per interessi economici.
Il presidente boliviano Evo Morales ha emesso un decreto per autorizzare gli incendi controllati allo scopo di liberare terreni e destinarli ad attività produttive ed in più ha depenalizzato gli incendi appiccati illegalmente lo scorso anno.
Contro Morales, leader del Movimento per il Socialismo, nessuna minaccia o avvertimento.
Da un rapporto dell’Osservatorio della Nasa, emesso il 22 agosto, si legge che “quest’anno l’attività incendiaria complessiva nel bacino amazzonico è comparabile con la media degli ultimi 15 anni”.
Sul quotidiano londinese The Indipendent, citando dati raccolti dalla Nasa, è riportato che al momento vi sono 6.902 focolai attivi in Angola, 3.395 nella Repubblica Democratica del Congo e 2.217 in Brasile.
In Siberia tra luglio e agosto sono andati in fiamme oltre 6 milioni di ettari di boschi, un territorio pari a Veneto, Lombardia e Piemonte messi insieme.
In Europa negli ultimi decenni si è proceduto ad una urbanizzazione selvaggia che ha distrutto e cancellato decine di migliaia di ettari di verde e di natura per costruire parallelepipedi grigi e obbrobriosi.
Il rullo compressore del finto benessere e di un progresso illusorio ha generato una corsa ai disastri della natura ed ora si finge di voler correre ai ripari, mentre si prosegue a coprire le multinazionali che pieni di ingordigia continuano imperterriti a demolire il pianeta.
Ripetere che il polmone del globo sta bruciando e che la colpa è tutta di Jair Bolsonaro significa solo non voler affrontare concretamente il problema e voler nascondere la testa sotto la sabbia.
Arnaud Daniels
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