Il nostro metano lo regaliamo alla Grecia che ringrazia
Un autogol energetico che ha del beffardo.
La Grecia demolisce la retorica sulla revoca alle concessioni per l’estrazione energetica nell’Adriatico accaparrandosi un importante giacimento di metano posizionato al confine tra le acque italiane al largo di Santa Maria di Leuca (Puglia) e la sua isola di Corfù.
Il disimpegno italiano dalla concessione di nuovi permessi estrattivi in seguito all’approvazione del decreto semplificazioni da parte del governo M5S-Lega e l’assenza di un cambio di rotta da parte del neonato governo Conte II hanno concesso ad Atene di poter pescare a mani basse nel giacimento Fortuna Prospect che attraversa i confini marittimi tra i due Paesi mediterranei.
La Grecia ha infatti avviato la messa in concessione del Blocco 2 di Fortuna Prospect alla Total, l’Edison e l’Elpa: ogni retorica sulla tutela del mare, la salute ambientale e la transizione, peraltro di per sé semplificatrice, viene meno.
I combustibili fossili sono estratti lo stesso e la Grecia cavalca l’onda della partita geoeconomica sul gas naturale che anima il Mediterraneo a nostro discapito.
Un consorzio con Total al 50% e le altre due società al 25% avrebbe, a parere de Il Sole 24 Ore, già ottenuto i permessi di estrazione.
Il principio, nei giacimenti energetici marini, è semplice: chi primo arriva meglio alloggia.
È come se due persone tentassero di bere la stessa bibita da due cannucce diverse.
Logico che se una delle due rinunciasse, l’altra si accaparrerebbe anche la metà spettante a lei. L’autogol è doppio perché, se le trivellazioni di Fortuna Prospect riveleranno un’ingente quantità di gas, la Grecia lo esporterà attraverso il gasdotto Tap a cui, invece, il governo Conte I ha garantito il suo avallo.
Lo stop alle trivellazioni nell’Adriatico, che riguarda le nuove concessioni e non quelle preesistenti, sostenuto soprattutto dal Movimento Cinque Stelle, limiterà a 133 le concessioni per lo sfruttamento di giacimenti di petrolio e di gas e a 72 i permessi di ricercare altri giacimenti.
L’Eni ha dovuto nel frattempo ritirare un grande progetto da due miliardi di euro per sfruttare ampiamente giacimenti adriatici capaci di garantire cinque miliardi di metri cubi di gas l’anno, oro colato per l’interesse nazionale energetico.
E la mossa greca testimonia come la corsa al vuoto clamorosamente lasciato aperto dall’Italia condotta dalle piccole e medie potenze dei Balcani sia in pieno svolgimento.
Nell’estate scorsa abbiamo assistito all’accelerazione della Croazia per garantirsi l’esclusiva su pozzi e giacimenti adriatici posizionati di fronte alle coste dell’Emilia-Romagna.
Anche Albania, Montenegro e Bosnia vogliono partecipare alla gara e hanno avviato progetti di ricerca, gare per le concessioni, esplorazioni.
Nel frattempo assistiamo al paradosso di un Eni frenata in patriada una politica miope, da soggetti che sono i primi a spellarsi le mani per applaudire i successi internazionali del Cane a sei Zampe, dal giacimento egiziano Zohr all’espansione in Medio Oriente, ma al tempo stesso frenano il suo operato e quello dell’intera filiera energetica nel territorio nazionale.
Mentre nel frattempo quel gas e quel petrolio sono ugualmente estratti, non si pensa al ruolo cruciale del gas o a un piano di crescita sostenibile per la transizione energetica mentre i nostri concorrenti più o meno robusti riescono a farsi beffe delle incertezze italiane.
Se questo è il “Green New Deal” tricolore, iniziamo bene.
Niccolò Rejetti
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