Le famiglie tagliano la spesa con il fisco troppo elevato
Rispetto al 2007 (anno pre-crisi) le famiglie italiane hanno “tagliato” i consumi per un importo pari a 21,5 miliardi di euro.
L’anno scorso, la spesa complessiva dei nuclei familiari del nostro Paese è stata pari a poco più di 1.000 miliardi di euro.
Nonostante la contrazione, questa voce continua comunque ad essere la componente più importante del Pil nazionale (pari al 60,3% del totale). A sostenerlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Come era prevedibile, il Sud è stato la ripartizione geografica che ha registrato la riduzione più importante.
Dal 2007 al 2018 le famiglie meridionali hanno “tagliato” la spesa mensile media di 131 euro (mediamente di 1.572 euro all’anno), quelle del Nord di 78 euro (936 euro all’anno) e quelle del Centro di 31 euro (372 euro all’anno).
A pagare il conto sono stati anche gli artigiani e i piccoli negozianti.
I piccoli negozi e le botteghe artigiane faticano a lasciarsi alle spalle la crisi, queste imprese vivono in gran parte dei consumi delle famiglie e sebbene negli ultimi anni ci sia stata una leggerissima ripresa, i benefici di questa inversione di tendenza non si sentono.
Dal 2007, anno pre-crisi, al 2018 il valore delle vendite al dettaglio nei negozi di vicinato è crollato del 14,5%, nella grande distribuzione, invece, è salito del 6,4%.
Questo trend è proseguito anche nei primi 9 mesi del 2019: mentre nei supermercati, nei discount e nei grandi magazzini le vendite sono aumentate dell’1,2%, nelle botteghe e nei negozi sotto casa la contrazione è stata dello 0,5%.
Sebbene la manovra 2020 abbia scongiurato l’aumento dell’Iva e dal prossimo luglio i lavoratori dipendenti a basso reddito beneficeranno del taglio del cuneo fiscale, il peso del fisco continua essere troppo elevato.
L’ aumento della disoccupazione registrato con la crisi economica sta condizionando negativamente i consumi, inoltre, come dimostrano i dati relativi all’artigianato e al piccolo commercio, è diventato sempre più difficile fare impresa, anche perché il peso della burocrazia e la difficoltà di accedere al credito hanno costretto molti piccolissimi imprenditori a gettare definitivamente la spugna.
Sempre in merito ai consumi delle famiglie, a livello regionale le situazioni più negative in termini assoluti ed espressi in valore nominali medi si sono verificate in Umbria (- 443 euro al mese), in Veneto (-378 euro) e in Sardegna (-324 euro).
In contro tendenza, invece, i risultati ottenuti in Liguria (+333 euro al mese), in Valle d’Aosta (+188 euro) e in Basilicata (+133 euro).
La situazione di difficoltà è proseguita anche nell’ultimo anno, in particolar modo al Nord: in Lombardia, in Trentino Alto Adige, in Emilia Romagna, in Piemonte, in Veneto e in Friuli Venezia Giulia la spesa mensile media delle famiglie nel 2018 è stata inferiore a quella relativa al 2017.
Dall’analisi delle funzioni di spesa, invece, sempre tra il 2007 e il 2018 la contrazione più importante ha riguardato l’acquisto dei beni (-10,3%), mentre i servizi sono cresciuti del 7%.
Nel dettaglio, i beni non durevoli (es. prodotti cura della persona,medicinali, detergenti per la casa, etc.) sono crollati del 13,6%, quelli semidurevoli (es. abbigliamento calzature, libri, etc.) si sono ridotti del 4,5% e quelli durevoli (es. auto, articoli di arredamento, elettrodomestici, etc.) del 2,8%.
La caduta dell’acquisto dei beni è proseguita anche quest’anno: tra il primo semestre 2019 e lo stesso periodo del 2018 la contrazione è stata dello 0,4% con una punta del -1,1% dei beni non durevoli.
Interessante, invece, l’esito dei beni durevoli: quest’anno la crescita è stata del 2,9%.
Tra le voci di spesa più significative va segnalata quella dei trasporti (auto, carburanti, biglietti treni, bus, tram, etc.): tra il 2007 e il 2018 la caduta è stata addirittura del 16,8% ed è proseguita anche quest’anno con un preoccupante -1%.
Diversamente, le telecomunicazioni (cellulari, tablet e servizi telefonici, etc.) hanno segnato degli score straordinari: negli ultimi 10 anni +20,1% e nell’ultimo anno +7,7%.
Le vendite al dettaglio, che costituiscono il 70% circa del totale dei consumi delle famiglie, negli ultimi 11 anni sono scese del 5,2%.
Tuttavia, quelle registrate presso la grande distribuzione sono aumentate del 6,4%, mentre nella piccola distribuzione (botteghe artigiane e piccoli negozi) sono precipitate del 14,5%.
Sebbene il gap si sia decisamente ridotto, anche in questi primi 9 mesi del 2019 i segni sono rimasti gli stessi: +1,2% nella grande e -0,5% nella piccola distribuzione.
Anche a seguito di questa forte diminuzione dei consumi delle famiglie, la platea delle imprese artigiane e del piccolo commercio è scesa di numero.
Tra il settembre 2009 e lo stesso mese di quest’anno le aziende/botteghe artigiane attive sono diminuite di 178.500 unità (- 12,1%), mentre lo stock dei piccoli negozi è sceso di quasi 29.500 unità (-3,8%).
Complessivamente, pertanto, abbiamo perso più di quasi 200 mila negozi di vicinato in 10 anni”.
In termini percentuali la regione più colpita dalla moria di aziende artigiane è stata la Sardegna che negli ultimi 10 anni ha visto scendere il numero del 19,1%. Seguono l’Abruzzo con il 18,3% e l’Umbria con il 16,6%.
L’andamento delle imprese attive nel piccolo commercio, invece, ha subito la riduzione più significativa in Valle d’Aosta con il 18,8%, in Piemonte con il 14,2% e in Friuli Venezia Giulia con l’11,6%. Rispetto al trend negativo, risultano essere di segno opposto la Calabria (+3%), il Lazio (+3,3%) e la Campania (+4,6%).
Guglielmo d’Agulto
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