EU e Onu finanziano milizie criminali del Mediterraneo
Enormi somme di denaro pubblico europeo finiscono nelle tasche delle organizzazioni criminali libiche, miliziani e trafficanti di esseri umani. Ma la cosa più preoccupante è che sia l’Unione Europea che le Nazioni Unite, che lavorano in Libia principalmente con due agenzie, ne sono ben coscienti e consapevoli.
A rivelarlo è un’inchiesta esclusiva dell’Associated Press pubblicata a fine 2019.
Un esempio concreto? un contratto da sette milioni di euro per forniture di cibo ai migranti finito nelle tasche del capo di una milizia, il tutto sotto gli occhi degli stessi funzionari Onu.
Ma andiamo con ordine.
La Commissione europea ha investito più di 327 milioni di euro in Libia, paese devastato da una sanguinosa guerra civile, con un’ultima tranche da 41 milioni approvata a dicembre. Dal canto suo, negli ultimi due anni l’Italia ha investito nel sistema libico quasi mezzo miliardo di euro (475 milioni di euro), di cui 100 milioni provenienti da Bruxelles.
I principali destinatari dei fondi europei sono le agenzie delle Nazioni Unite, OIM e UNHCR, l’Alto Commissariato per i rifugiati: due organizzazioni che dovrebbero fornire garanzie sul rispetto dei diritti umani in Libia, ma la cui azione è limitata e inefficace, e non solo per le condizioni ambientali in cui si trovano a lavorare.
Da un lato la gestione UNHCR in loco è piagata da negligenze in termini di assistenza umanitaria, mancanza di trasparenza, accuse di corruzione e cattiva gestione dei processi di verifica e registrazione.
Dall’altro, se il principale obiettivo di OIM è quello di predisporre i “ritorni volontari” dei migranti al di fuori dalla Libia, i numeri sono impietosi: nel 2019, l’agenzia Onu è riuscita a tirare fuori dall’inferno poco meno di 10mila persone a fronte di una presenza di circa 600mila migranti nel paese.
Se Bruxelles ha dichiarato pubblicamente di contare sulle due organizzazioni per garantire il rispetto dei diritti umani – giustificando così la politica di esternalizzazione dei confini comunitari – sono le stesse agenzie Onu ad ammettere di non poter in realtà garantire alcunché.
L’inviato UNHCR per il Mediterraneo Centrale, Vincent Cochetel, ha scritto su Twitter: “nessuno è in grado di fornire un rifugio sicuro ai migranti in Libia”.
Nessuno, quindi neanche UNHCR.
Fatte queste premesse, l’inchiesta dell’agenzia AP rivela come, da documenti di budget del 2017, si scopre come la UE fosse cosciente del rischio “medio-alto” che i soldi per l’assistenza umanitaria potessero finire nelle tasche dei trafficanti di esseri umani e contribuire ad un aumento delle violazioni nei centri di detenzione – oltre alla possibilità che il governo libico potesse negare accesso agli stessi.
Ma l’accusa più forte riguarda il centro di evacuazione di Tripoli noto come GDF (Gathering and Departure Facility), costato 6 milioni di dollari e gestito dal Ministero dell’Interno libico e dal partner LibAid.
Di recente, UNHCR – che nel centro operava – ha ammesso di non poter più aiutare nessuno lì dentro nonostante in passato fosse stato presentato dalle campagne promozionali in ben altra luce.
Ebbene, milioni di euro di contratti per forniture di cibo ai migranti rinchiusi nel GDF sono andati ad un miliziano libico venuto a trattare in Italia assieme al famigerato “Bija”.
Si chiama Mohammed al-Khoja ed è anche il vicecapo della Direzione libica per la lotta contro l’immigrazione illegale (DCIM).
Parliamo di contratti da almeno 7 milioni di dollari per catering, pulizia e sicurezza. AP ha scoperto che 30 dei 65 dipendenti di LibAid sono essenzialmente prestanome a libro paga delle milizie.
Dei 50 dinari (35$) dollari al giorno allocati per forniture di cibo a ciascun migrante, ne venivano spesi solamente 2 dinari. Non solo: i pasti effettivamente cucinati vengono redistribuiti tra le stesse guardie o immessi nel mercato nero.
Una email interna dell’agenzia delle Nazioni Unite mostra come tutti fossero al corrente del problema.
Le organizzazioni internazionali pagano in dollari i contratti alle società di subappalto libiche. Queste, gestite da miliziani, hanno conti correnti in Tunisia, nella città di Ben Gardane, poco oltre il confine.
Qui i soldi vengono cambiati in valuta locale e riciclati in proprietà immobiliari, passaporti fittizi e fatture false di società fittizie.
Quanto all’altra agenzia Onu, l’OIM, essa collabora con la guardia costiera libica, addestrata e rifornita con soldi italiani e europei. Ha ammesso che il partner “può avere contatti con milizie locali”, ma che si tratta di un male necessario se si vuole “operare in quelle zone”.
Nonostante la Ue e l’Italia paghino la guardia costiera libica per pattugliare la costa, non mancano i casi di corruzione: i trafficanti pagano alla guardia costiera una tangente di circa 10mila dollari per ogni barcone che viene lasciato passare, talvolta cinque e sei alla volta.
Nell’inchiesta AP, infine, vengono rivelate anche le cifre pagate dai circa 5mila migranti abusati nei campi di concentramento (definizione UNHCR): per rilasciarli, i loro aguzzini estorcono alle famiglie cifre comprese tra 1.800$ e 8.500$ facendo loro ascoltare al telefono, in diretta, le torture sui propri cari.
C’è spazio anche per l’Italia: in un centro di detenzione a Sabaa, i migranti vengono lasciati a digiuno e costretti a costruire un’ala di prigionia finanziata proprio dal governo italiano.
Da Roma non pervengono commenti, sanno bene che il silenzio è d’oro.
Riccardo Dinoves
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