Il gioco dei tre campanelli-carte-tavolette non è truffa
Il “gioco dei tre campanelli – e quelli similari delle tre tavolette o delle tre carte – di per sé non concretano il reato di truffa posto che la condotta di chi dirige il gioco non realizza alcun artificio o raggiro, bensì “una realtà” ed una regolare continuità di movimenti, che, per essere l’effetto della estrema abilità di chi dirige il gioco, inducono, da ultimo, il giocatore a confidare nel “caso”. Naturalmente, a diversa soluzione si deve giungere nel caso in cui all’abilità ed alla destrezza di chi esegue il gioco si aggiunga una fraudolenta attività del medesimo”.
È quanto ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione Sezione Seconda Penale che – con la sentenza pubblicata in data 27.11.2019 – ha annullato la sentenza della Corte d’Appello con la quale i ricorrenti erano stati condannati per il delitto truffa in concorso.
Più precisamente, ad avviso della Cassazione la ricostruzione della Corte di appello non permette di identificare la presenza di tale ulteriore fraudolenta attività posto che risulterebbe essere stata la parte offesa a determinarsi a giocare.
Aggiungono inoltre la Suprema Corte che “La presenza di una induzione della persona offesa a giocare con il miraggio di una facile vincita (…) non costituisce inoltre – di per sé – né artifizio né raggiro perché tale l’affermato inganno riguardava una caratteristica del gioco (la sproporzione a favore del “banco” in conseguenza dell’uso da parte dei “tenutari del gioco” di abilità o destrezza che potrebbero e possono essere rese inefficaci solo dall’eventuale superiorità della prontezza di riflessi e dello spirito di osservazione di chi vi partecipa) che rientra nell’ambito dei fatti notori e perché -sulla base di tali presupposti – la parte offesa rimaneva libera di partecipare o meno al gioco medesimo”.
Piero Vernigo
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