Il dittatore Erdogan blocca le mascherine destinate all’Italia
Mascherine pronte alla consegna ma bloccate in aeroporto, avvolte all’interno di grandi pacchi con ancora gli imballaggi a tenerli chiusi.
Sono scene che significano meno forniture indispensabili oggi più che mai nella fase più acuta dell’emergenza ma che si ripetono sempre più in diversi aeroporti così come in molte dogane.
Nei giorni scorsi è stata riportata la notizia relativa alla decisione, da parte del governo tedesco, di requisire le mascherine e trattenerle in Germania, comprese molte di quelle destinate all’Italia. L’ultimo episodio è arrivato da Ankara dove ci sono 200.000 mascherine Ffp2 ed Ffp3 bloccate dallo scorso 3 marzo nello scalo della capitale turca.
Si tratta di uno stock destinato all’Italia, che allevierebbe e di molto la situazione in tutte le strutture che nel nostro paese sono in prima linea contro il virus.
Ed invece il 4 marzo, con un decreto governativo, la Turchia ha deciso che l’esportazione di mascherine può essere autorizzata solo dal ministero della Sanità.
E l’autorizzazione non è ancora arrivata. L’ambasciata italiana da giorni è in contatto con il ministero, ma dalle stanze del locale dicastero della Sanità si rispondono in continuazione che a breve si risolverà tutto.
Della questione sembra essersene interessato anche il presidente del consiglio Giuseppe Conte, in una recente conversazione con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Anche in questo caso però, vaghe promesse di un imminente via libera ma nel concreto nessuna novità.
Le mascherine destinate anche agli ospedali di Rimini e di Pesaro, due tra i più provati dall’emergenza Covid-19, sono state prodotte dalla ditta Ege Maske.
Si tratta di uno dei “giganti” anatolici nella produzione di mascherine, dalle proprie fabbriche ne escono almeno un milione al giorno.
Il general manager della ditta ha dichiarato che il comparto turco delle mascherine è in grado di rifornire tutta Europa, producendo complessivamente almeno 50 milioni di modelli a settimana. Di fatto, in 7 giorni sarebbe possibile avere tante mascherine da distribuirne quasi una a testa a tutti gli italiani.
E forse è questo il vero nodo della questione: Erdogan, dopo il ricatto non riuscito all’Europa con i migranti, adesso ci prova con le mascherine e dunque con quanto di più prezioso, in piena pandemia, possa servire a tutto il vecchio continente.
Ufficialmente il governo turco, che non ha parlato di requisizione dei vari pezzi prodotti nelle aziende del paese, ha attuato il blocco per valutare prima le necessità riguardanti il proprio fabbisogno.
Ma si tratta sostanzialmente di un braccio di ferro tra Ankara e l’Europa.
Lo sviluppo del comparto turco degli ultimi anni, reso possibile anche con gli investimenti italiani ed europei, ha dato al dittatore un’altra arma nelle sue mani per ricattare.
Difficile sapere come finirà: forse Erdogan si convincerà a far partire gli stock di mascherine accumulati in aeroporto, ma chissà a quale prezzo.
E così l’Italia delle delocalizzazioni, degli investimenti portati all’estero e della “fede” nei mercati stranieri, si è riscoperta ancora una volta vulnerabile e fragile, oltre che costretta a prendere atto della propria dipendenza dai capricci altrui nei momenti di necessità.
In tutte le regioni si sta provando a tamponare l’emergenza convertendo frettolosamente alcuni impianti per iniziare la produzione locale di mascherine, ma è una vera e propria corsa contro il tempo.
La verità è che, finita l’emergenza, si dovrà comprendere che la salvaguardia delle nostre aziende e dei nostri stabilimenti non è una mera affermazione di natura politica ma, al contrario, una vera esigenza nazionale in grado di tutelare il nostro paese soprattutto nei momenti più difficili.
la Redazione
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