Il prezzo del petrolio crolla ma la benzina resiste bene
Non è facile comprendere le ragioni per cui il prezzo del petrolio grezzo è crollato del 59.6% in poco più di un mese, dal 20 febbraio, a differenza della benzina verde (fonti dell’Osservatorio del Mise) scesa del 5,2% e del diesel del 5,8%.
In tutta Europa vi sono stati notevoli ribassi a differenza del nostro Paese che fa registrare il prezzo più alto.
Bisogna tener conto dell’Iva al 22% e delle accise. L’accisa è un’imposta fissa che grava sulla quantità dei beni prodotti o commercializzati come la benzina, il gasolio, il gpl, il gas metano e poi sigarette, energia elettrica, bevande alcoliche (la birra, grappa, brandy, liquori sì ed il vino no). I due terzi di ciò che paghiamo sono gabelle, le due imposte si applicano insieme e l’una non esclude l’altra.
Le accise sono state inventate per fronteggiare finanziariamente alcuni eventi provocati da situazioni di emergenze, questo l’elenco completo degli eventi: guerra d’Eritrea del 1935-36; crisi del Canale di Suez del 1956; disastro del Vajont del 1963; alluvione di Firenze del 1966; terremoto del Belice del 1968; terremoto del Friuli del 1976; terremoto dell’Irpinia del 1980; guerra del Libano 1983; missione in Bosnia del 1996; rinnovo contratto dei ferrotranvieri del 2004; acquisto autobus ecologici del 2005; terremoto dell’Aquila del 2009; finanziamento alla cultura del 2011; arrivo immigrati dopo la crisi libica del 2011; alluvione in Liguria e Toscana nel novembre 2011; decreto “salva Italia” di dicembre 2011; terremoto dell’Emilia del 2012.
Il consumo del carburante si è ridotto sensibilmente a causa dell’epidemia di coronavirus e inoltre è in atto una guerra di prezzi tra Russia e Arabia Saudita.
Molte fabbriche sono chiuse, i trasporti ridimensionati.
Federpetroli ha comunicato che nella settimana 6-13 marzo i distributori della rete italiana abbiano venduto, in media, 2.000 litri di carburante, con un crollo rispetto alla media dell’80%.
Eni si è adoperata per sottoscrivere un importante accordo con i gestori della rete di distributori nazionale per “implementare una serie di misure volte a contenere le difficoltà di mercato derivanti dall’impatto del coronavirus, e a garantire la continuità della fornitura di un servizio essenziale per il Paese”.
Eni concederà ai distributori un taglio nei quantitativi minimi ordinabili, dilazioni nei pagamenti delle forniture e un congelamento dei canoni di affitto e locazione delle stazioni.
Un distributore guadagna mediamente 3 centesimi al litro per il rifornimento self-service e 5 centesimi da quello di servizio.
Qualora il prezzo scendesse sensibilmente potrebbe creare scompensi all’intera filiera in una fase in cui il mercato è volutamente inondato da un surplus notevole di offerta di greggio rischia di spiazzare il sistema energetico e di neutralizzare coi danni al settore oil and gas l’eventuale volano favorevole del basso costo delle materie prime per la promozione di politiche anticicliche in un Paese importatore come l’Italia.
Colossi come Eni dovranno anche valutare la tenuta della loro posizione in Paesi come la Libia, dove gli accordi locali dipendono dalla rendita petrolifera, e dalla crisi attualmente in corso potrebbero ricevere un’ulteriore spinta alla decisiva transizione verso la dominazione del gas naturale nel loro mix energetico. Richiamando dunque l’Italia a recuperare quel ruolo nella politica energetica internazionale a cui ha abdicato, negli ultimi anni, per superficialità, incertezze, ignavia e incompetenze.
Nell’agenda del rilancio del Paese dopo il coronavirus andrà inserita, ai primi posti, anche un’efficiente politica energetica, capace di porre al riparo dalle fluttuazioni del greggio il sistema produttivo nazionale.
Raimondo Adimaro
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