L’ospedale al Portello accoglie solo pochissimi pazienti
La struttura dell’ospedale al Portello non ha ancora raggiunto i carichi di lavoro per i quali è stata concepita.
Il Policlinico di Milano, al quale è stata assegnata la responsabilità sanitaria del nuovo reparto di terapia intensiva, si giustifica affermando che l’ospedale al Portello è una struttura di secondo livello, nata a supporto della rete ospedaliera regionale e poiché in questo momento il picco di ricoveri, compresi quelli che richiedono letti in rianimazione sono fortunatamente in calo, anche la necessità di trasportare pazienti è meno pressante.
La struttura, pensata inizialmente per ospitare 400 posti letto, poi ridotti a 200 e costata finora circa 20 milioni di euro provenienti da finanziatori privati, ospita attualmente soltanto 10 pazienti.
Ecco così che la fenomenologia del più grande centro di terapia intensiva in Italia, resta confusa.
Anche per quanto riguarda l’efficienza del personale sanitario già a lavoro, la situazione si conclude con un punto interrogativo.
Ufficialmente si era infatti parlato di 1000 assunzioni tra medici, infermieri ed altre figure di supporto. Ma al momento a lavorarci sono circa una cinquantina.
In conferenza stampa avvenuta dopo circa dieci giorni dall’inizio dei lavori, si diceva che il nuovo ospedale avrebbe aperto le porte ai primi 24 pazienti affetti da Covid-19.
“Il padiglione del Policlinico sarà un vero e proprio reparto che ospiterà fino a 205 posti di terapia intensiva. I primi 24 letti verranno attivati nei prossimi giorni e, quando la struttura sarà operativa a regime, verranno arruolati 200 medici anestesisti, 500 infermieri e altre 200 figure ospedaliere”.
Così il 31 marzo si era aperta la conferenza stampa, che ha rappresentato l’unica fonte di informazione diretta fino ad ora per la stampa, per presentare ufficialmente i primi moduli.
Oltre alle frasi ad effetto annunciate da Guido Bertolaso, chiamato dalla Regione a coordinare i lavori, c’è purtroppo ancora poco.
Giuseppe Broschi, cardiologo e dirigente medico dell’ospedale Niguarda, il 6 aprile aveva commentato: “Sono medico, sono lombardo… oggi però con l’inaugurazione dello “pseudo” ospedale in Fiera mi sento triste. L’idea di realizzare una terapia intensiva in Fiera non sta né in cielo né in terra. Una terapia intensiva funziona infatti solo se integrata con tutte le altre strutture complesse che costituiscono la fitta ragnatela di un ospedale. A questo proposito, sarebbe stato più logico spendere le energie e le donazioni raccolte per ristrutturare o riportare in vita alcuni dei tanti padiglioni abbandonati degli ospedali lombardi (Niguarda, Sacco, Varese…).”
Conclude Broschi: “La Lombardia non aveva certo bisogno di dimostrarsi superiore alla Cina costruendo un “ospedale” in Fiera. Basta vedere quanto fatto da tutti i dipendenti degli ospedali lombardi che in questi 40 giorni hanno creato oltre 600 posti di rianimazione dal nulla.”
Ad oggi purtroppo gli indicatori del Coronavirus bocciano la Lombardia, superata dal Veneto.
Appena due settimane per costruire un ospedale al Portello e 205 posti letto valgono un applauso: peccato si siano resi agibili proprio quando le richieste di terapia intensiva sono in calo e peccato anche che non siano in grado di ricevere non oltre una decina di pazienti.
Giulia Carena
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