Le imprese dovranno pagare per errori non commessi
Era il 9 marzo quando con un dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri) il Governo italiano intimava su tutto il suolo nazionale la chiusura di tutte le attività commerciali non fornitrici di beni e servizi di prima necessità al fine di preservare la salute pubblica.
Inoltre vigeva l’ordine per tutti i privati cittadini di restare nelle proprie abitazioni tranne che per motivazioni di comprovata importanza.
Non si vuole valutare la giustezza di tali provvedimenti riguardanti la salute pubblica, e segnatamente la propagazione dell’infezione virale da covid-19, una considerazione in merito però va fatta.
Era il giorno 21 febbraio quando sorse evidente la nascita di un focolaio nella provincia lodigiana; sembra il caso inoltre di puntualizzare come ancor prima, in data 31 gennaio il Governo promulgava lo Stato di emergenza per la durata di sei mesi a causa della potenziale epidemia influenzale.
Queste considerazioni fanno fare due riflessioni distinte ma ben connesse: anzitutto l’esplosione dell’epidemia nella seconda metà di febbraio non fu affatto un fulmine a ciel sereno, ma certamente un evento il cui verificarsi era già stato messo in conto.
In secondo luogo si può ipotizzare che la gestione, e specialmente la tempistica dei provvedimenti intrapresi per sedare e rallentare la propagazione del contagio, non sia stata il massimo, in quanto l’attendismo ha permesso al focolaio sviluppatosi in una sola provincia lombarda di allargarsi a macchia d’olio e coinvolgere l’intera penisola italica in sole due settimane.
Ciò sta a sottolineare la possibilità, non del tutto remota, che si sarebbe potuto evitare di coinvolgere in una quarantena lunga settimane tutte e venti le regioni comprese le già geograficamente isolate “isole”, con tutti i disagi che ne sono comportati sul piano sociale ed economico.
Tornando al concetto del nocumento provocato e indotto dalla quarantena forzata, essa ha provocato e sta provocando, per il 70% delle attività produttive e commerciali, il totale blocco degli affari con il conseguente aggravio della situazione economica e finanziaria delle stesse.
Oltre a ciò è da considerare l’intera economia nazionale, con una probabile perdita di PIL che risulterà compresa tra il 10 e il 15% per il solo 2020, con tutti i disastri che comporterà negli anni a venire per le finanze dello Stato.
I provvedimenti approntati dal Governo nelle scorse settimane, per sopperire alla mancanza di redditi e al conseguente fermo biologico dell’economia, sono stati finora scarsi e mal comunicati. Gli unici provvedimento realmente in vigore finora non sono altro che la cassa integrazione in deroga per tutti i dipendenti di società interdetta all’attività (somme che verosimilmente saranno erogate a metà maggio) oltre ad una poco efficace concessione di crediti d’imposta che copre il 60% del costo degli affitti del mese di marzo (ma solo per le categorie c1).
Veniamo al giorno 6 aprile, data in cui con l’ennesima conferenza stampa in diretta tv e diretta Facebook, il Governo, col premier Conte e i ministri Gualtieri e Patuanelli, hanno annunciato una fantasmagorica “Potenza di fuoco” per reimmettere liquidità nell’economia.
Peccato che questa potenza di fuoco sembri più “potenza di fumo” dal momento che mira a promuovere esclusivamente risorse sotto forma di finanziamenti, purché a tassi agevolati e garantiti al 100% dallo Stato fino a un massimo di 25 mila euro.
Vogliamo soffermarci su un concetto ben preciso: lo Stato ha procurato un nocumento alle imprese che sono state costrette a chiudere e invece di un ristoro gli propone di ottenere dei prestiti.
Un po’ come se tra qualche mese l’Inps venisse a chiedere a impiegati e operai la restituzione delle somme ricevute durante il periodo di cassa integrazione.
Chiunque abbia una minima conoscenza della gestione aziendale a qualsiasi livello, anche in merito alla normale gestione di un semplice negozio, può facilmente comprendere che durante un periodo di inattività oltre a fermarsi le entrate di cassa, continuano a susseguirsi e accumularsi le uscite determinate dai costi fissi d’impresa (affitti, utenze energetiche, rate su prestiti e mutui, etc.), che incrementano e ad aggravano la situazione debitoria, delle già martoriate (pre-covid19) imprese italiane.
Di fatto quindi lo Stato italiano invece di offrire un qualche ristoro del danno procurato ha finora solo predisposto un aggravio della situazione debitoria delle imprese in modo trasversale e a tutti i livelli, lasciando in capo ad esse la responsabilità di pagare per i suoi errori.
Devono pagare di tasca loro al puro scopo di preservare i posti di lavoro dei dipendenti e di permettere seppur con qualche rinvio temporale di versare le imposte dovute.
È forse questo il modo in cui un Governo che veste i panni di uno Stato di diritto, quale ancora l’Italia si mostra al resto del mondo, dovrebbe affrontare un’emergenza sanitaria e segnatamente economica come quella in cui ci ritroviamo al giorno d’oggi?
Appena la tempesta sarà passata qualcuno si attiverà per recuperare i mancati incassi.
Raimondo Adimaro
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