Per i penalisti è propaganda politica il decreto Bonafede
Il ministro della Giustizia Bonafede si è accorto che centinaia di boss mafiosi erano tornati a svolgere le loro principali attività solo dopo che questi signori erano tornati a respirare aria di casa.
Dopo il duro scontro con il pm Nino Di Matteo ora il Guardasigilli tenta di correre ai ripari con un provvedimento che ancor prima di essere approvato ha gettato scompiglio tra gli addetti ai lavori dei Palazzi di Giustizia.
A parere del presidente dell’Unione delle Camere penali Gian Domenico Caiazza si tratta di un’idea inaccettabile, perché interviene in modo inammissibile sull’autonomia del giudice e risponde a esigenze di pura propaganda politica e non di giustizia.
È nettamente contrario Caiazza al nuovo decreto legge per far rivalutare dai giudici le scarcerazioni di esponenti della criminalità organizzata, oggi ai domiciliari per l’emergenza coronavirus.
Si tratta di una pretesa teorica inaccettabile immaginare di porre al giudice l’obbligo di rivalutazioni.
È una forma di intervento indebito sull’autonomia della valutazione del magistrato.
A parere del presidente dell’Unione delle Camere penali esistono già strumenti processuali attraverso i quali intervenire, come il ricorso da parte del procuratore generale: l’ufficio della pubblica accusa viene già regolarmente interpellato, e per la gran parte di questi provvedimenti di scarcerazione c’è stato il parere favorevole della procura generale.
Dove non c’è, il provvedimento può essere impugnato, si può fare ricorso in Cassazione.
Caiazza sostiene che il decreto risponde ad esigenze di tipo propagandistico: il ministro ora sente la necessità di dover fare la parte del più antimafioso degli antimafiosi, in gara con Di Matteo.
È uno spettacolo desolante.
E la diatriba con Di Matteo?
Secondo Caiazza è il ministro che sceglie il capo del Dap, la discrezionalità politica è una prerogativa che non può essere messa in discussione: il ministro, un politico, fa la sua scelta su una nomina, che può essere sindacata dall’elettorato, dal Parlamento, ma certo non da un magistrato e tanto meno dal potenziale beneficiario della nomina.
La querelle scoppiata tra il Guardasigilli Alfonso Bonafede e l’ex pm Nino Di Matteo, oggi togato al Csm, accadde nel giugno 2018, quando il ministro scelse Francesco Basentini
per la guida del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e non lo stesso Di Matteo.
È inaccettabile, ribadisce Caiazza, che un magistrato si metta a fare insinuazioni o pubbliche discussioni su una scelta che è esclusivamente politica.
Non esiste il diritto di Di Matteo a essere nominato capo del Dap, non capisco cosa c’è di scandaloso se il ministro, dopo un’interlocuzione con Di Matteo che si prese 24 ore di tempo per decidere, nel frattempo fece un’altra scelta.
la Redazione
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