In 3 mesi han chiuso 11 mila artigiani, ma è solo l’inizio
Nei primi 3 mesi di quest’anno il numero complessivo delle imprese artigiane presente in Italia è sceso di 10.902 unità, un dato negativo, tuttavia in linea con quanto registrato nello stesso arco temporale dei 3 anni precedenti.
Il peggio, segnala la CGIA, dovrebbe purtroppo sopraggiungere nei prossimi mesi, quando l’effetto economico negativo del Covid si farà sentire con maggiore intensità.
In questi due mesi e mezzo di lockdown, molti artigiani senza alcun sostegno al reddito sono andati in difficoltà e non sono stati pochi coloro che hanno ipotizzato di gettare la spugna e chiudere definitivamente la saracinesca.
Dopo una settimana dalla riapertura totale, invece, lo stato d’animo di tanti piccoli imprenditori è cambiato.
C’è voglia di lottare, di resistere, di risollevare le sorti economiche della propria attività.
Purtroppo, non tutti ce la faranno a sopravvivere e non è da escludere che entro la fine dell’anno lo stock complessivo delle imprese artigiane presente nel Paese si riduca di quasi 100 mila unità, con una perdita di almeno 300 mila posti di lavoro.
L’entità della contrazione dipenderà dalle misure di sostegno che verranno introdotte dal Governo nei prossimi 2-3 mesi.
Tenendo conto che negli ultimi 11 anni lo stock delle imprese artigiane1è crollato di quasi 200 mila unità, al 31 marzo 2020 le aziende artigiane attive in Italia ammontavano a 1.275.970.
Per evitare che entro la fine del 2020 si registri una ulteriore moria di tantissime botteghe artigiane, la CGIA torna a ribadire la necessità di erogare a queste attività importanti contributi a fondo perduto e di azzerare per l’anno in corso le imposte erariali: come l’Irpef, l’Ires e l’Imu sui capannoni.
L’artigianato ha bisogno di sostegno perché è l’elemento di coesione sociale del nostro sistema produttivo.
Se spariscono le micro imprese, rischiamo di abbassare notevolmente la qualità del nostro made in Italy.
È vero che con il decreto Rilancio sono state introdotte diverse misure tra cui l’azzeramento del saldo e dell’acconto Irap in scadenza a giugno, la riproposizione dei 600 euro per il mese di aprile e la detrazione del 60% degli affitti, ma tutto questo è insufficiente a colmare la rovinosa caduta del fatturato registrata in questi ultimi mesi da tantissime piccole realtà.
Troppi provvedimenti che rischiano di disperdere in tanti rivoli le risorse messe a disposizione che, invece, dovrebbero essere convogliate solo su tre voci: famiglie, indennizzi diretti alle imprese e taglio delle tasse.
Anche i tanto attesi contributi a fondo perduto introdotti con il Dl Rilancio a favore delle piccole attività, rischiano di non sortire gli effetti sperati; la dimensione economica del ristoro, infatti, risulta molto contenuta.
Le attività che hanno subito il lockdown, nella migliore delle ipotesi coprono solo 1/6 delle perdite sostenute nello scorso mese di aprile
Sono state fatte quattro simulazioni su micro e piccole attività artigiane che nel mese di aprile 2020 sono state obbligate a chiudere l’attività per decreto:
– un parrucchiere con un fatturato medio annuo registrato nel 2019 di 70 mila euro e una perdita, aprile 2020 su aprile 2019, di oltre 5.833 euro, riceverà, stando alle disposizioni del “decreto Rilancio”, il 20% di questo disavanzo. In pratica solo1.167 euro;
– un falegname produttore di mobili con un fatturato annuo di 180 mila euro e una perdita ad aprile 2020 sullo stesso mese dell’anno scorso di 15 mila euro, riceverà, con questo passivo, 3.000 euro, cioè il 20% dei mancati ricavi;
– un’impresa edile con 450 mila euro di fatturato presenta una caduta del fatturato di 37.500 euro; dalle disposizioni del “decreto Rilancio” riceverà 5.625 euro, importo ottenuto applicando il 15% sulla perdita;
– un’azienda metalmeccanica con ricavi annui di 500 mila euro e un disavanzo di 41.667 euro, incasserà dallo Stato 6.250 euro, pari al 15% del disavanzo.
A preoccupare la CGIA, tuttavia, non c’è solo la mancanza di credito che attanaglia gli artigiani e in generale tutte le Pmi, ma anche le previsioni dei consumi delle famiglie italiane per l’anno in corso.
Secondo il Def 2020, infatti, la caduta sarà pari al 7,2%; in termini assoluti il crollo degli acquisti rispetto al 2019 sarà di circa 75 miliardi e a farne le spese saranno soprattutto gli artigiani, piccoli commercianti e i lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie.
Insomma, i fatturati di queste piccole attività sono destinati a cadere rovinosamente, trascinando verso la chiusura definitiva tantissimi negozi di vicinato.
Tutto questo comporterà un problema occupazionale non di poco conto, ma anche un forte abbassamento della qualità della vita.
Quando chiudono le botteghe e i piccoli negozi le aree urbane si impoveriscono e diventano terreno fertile per la diffusione del degrado, dell’abbandono e della microcriminalità.
Come dicevamo più sopra, la crisi dell’artigianato parte da lontano.
Tra il 2009 e il 2019, infatti, abbiamo perso il 12,2% delle imprese di questo comparto (in particolar modo edili, autotrasportatori e aziende metalmeccaniche) e le regioni maggiormente colpite sono state quelle del Sud: Sardegna -19%, Abruzzo –18,8%, Umbria –16,2%, Molise -16,1 e Sicilia –15,9%.
Se, invece, analizziamo la nati-mortalità riferita al primo trimestre del 2020, Lombardia (-1.814 imprese), Emilia Romagna (-1.215), Piemonte (-1.068) e Veneto (-1.002) sono i territori che in termini assoluti hanno registrato il saldo più negativo.
A livello provinciale, infine, sempre nel primo trimestre di quest’anno, le situazioni più “pesanti” di contrazione delle imprese artigiane si sono verificate nelle grandi aree metropolitane.
In particolare a Torino (-544), a Milano (-490), a Roma (-421), a Bari (-346) e a Bologna (-274).
Su 105 province analizzate, le uniche che hanno registrato un saldo positivo sono state tre: Trieste (+11), Imperia (+16) e Catania (+76).
Arnaud Daniels
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