Italia buonista, Rackete e i delinquenti della Sea Watch 3
Associazione a delinquere finalizzata alla tratta di persone, alla violenza sessuale, alla tortura, all’omicidio e al sequestro di persona a scopo di estorsione: sono questi i reati per i quali il Gup del Tribunale di Messina ha condannato a 20 anni di carcere ciascuno Mohammed Condè, Hameda Ahmed e Mahmoud Ashuia.
Questi tre delinquenti lavoravano come carcerieri in Libia e sono arrivati in Italia a bordo della Sea Watch 3 comandata da Carola Rackete, la tedeschina sponsorizzata della sinistra italiana ed europea che ha speronato una motovedetta della Guardia di Finanza violando le nostre leggi e i nostri confini.
La condanna di questi delinquenti viene nascosta dalla grande comunicazione che un anno fa ricoprì di onori la Rackete dipingendola come un’eroina senza macchia e senza paura.
Senza pudore l’ipocrisia di quei parlamentari di sinistra Delrio, Orfini, Fratoianni, che un anno fa salirono su quella nave per accusare di ogni nefandezza e atrocità quello stesso Giuseppe Conte con cui oggi sono felicemente al governo.
Il blocco navale è l’unica soluzione definitiva per fermare le partenze e combattere gli schiavisti del Terzo Millennio.
Grecia e Malta respingono in modo palese i migranti illegali riportandoli verso le coste turche e libiche.
A differenza dell’Italia, che tra accoglienza per tutti, navi di lusso per le quarantene e regolarizzazione per i clandestini fa di tutto per incoraggiare i flussi illegali e arricchire i trafficanti, Grecia e Malta combattono i trafficanti di esseri umani sostenuti dal governo turco e da alcune milizie libiche fedeli al governo di Tripoli adottando il “modello australiano” dei respingimenti in mare.
Un esempio vincente ed efficace, che risparmia vite umane e scoraggia i flussi migratori illegali togliendo clienti ai trafficanti, ma che viene giudicato “illegale” dall’Unione europea, dalle agenzie dell’ONU e dall’ampio fronte immigrazionista che riunisce partiti politici, Ong e organizzazioni cosiddette “umanitarie” che continuano a voler confondere i naufragi in mare con le emigrazioni illegali di massa e il traffico di esseri umani.
Questi i fatti degli ultimi giorni, che sembrano indicare la volontà di Atene e La Valletta di attuare una svolta concreta verso i respingimenti come unico provvedimento idoneo a fermare i flussi, combattere i trafficanti e salvaguardare i confini italiani ed europei.
La guardia costiera turca ha riportato a terra il 30 maggio una settantina di clandestini a bordo di tre gommoni nelle acque del Mar Egeo, al largo della città di Smirne, che erano stati respinti da unità navali greche.
A riportare la notizia è stato il sito del quotidiano turco Hurriyet secondo cui a bordo delle imbarcazioni vi erano 28 congolesi, 23 afgani, 5 eritrei, 2 maliani, un nigeriano e un somalo. I gommoni sarebbero stati fermati dalla Guardia costiera greca e rimorchiati verso le coste turche, dove sono stati intercettati da una motovedetta che ha portato le persone a bordo presso l’ospedale di Smirne.
La Turchia lo scorso febbraio ha aperto le proprie frontiere al passaggio dei migranti verso i confini dell’Ue scatenando un braccio di ferro con le autorità di frontiera greche che, dopo anni di “invasioni” di clandestini delle isole più vicine alle coste turche (Chios e Lesbo soprattutto) coordinate da Ankara, si sono rese protagoniste di centinaia di respingimenti verso la Turchia e hanno schierato l’esercito sul confine terrestre.
I respingimenti attuati dalle motovedette greche hanno scatenato, paradossalmente, le proteste di Ankara, che da anni attua piani di impiego delle masse di immigrati clandestini contro l’Europa.
Anche Malta subisce da tempo pressioni da parte di Bruxelles e dal fronte immigrazionista per aver attuato respingimenti in mare consegnando alle motovedette libiche i clandestini fermati nelle acque di competenza maltese per la ricerca e soccorso SAR.
Le motovedette maltesi coopereranno con quelle libiche per soccorrere barconi e gommoni e farli rimorchiare di nuovo sulle coste africane. Il memorandum d’intesa firmato a Tripoli dal primo ministro maltese Robert Abela e dal premier del Governo di accordo nazionale libico (GNA) Fayez al Sarraj dovrebbe ispirare l’Italia a fare fronte comune con gli altri due membri meridionali dell’Unione in prima linea sul fronte dell’immigrazione illegale.
Roma del resto è sempre il maggior sponsor della Guardia Costiera libica in termini di mezzi, denaro e addestramento ma continua a promuovere un’accoglienza che incoraggia i flussi da Libia, Tunisia e Algeria verso le nostre coste.
Secondo Abela, uno dei punti su cui insistere per arrivare ad una soluzione sono “azioni concrete” sulle coste libiche ed ai confini meridionali del paese africano, in modo da frenare il traffico di esseri umani piuttosto che lavorare sui ricollocamenti e sui salvataggi in mare.
Proprio l’opposto di quanto sta facendo il governo italiano che dall’accordo libico-maltese rimedia inoltre un ulteriore “siluro”.
Guglielmo d’Agulto
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