L’America crea 2,5 mln di posti di lavoro nonostante Floyd
Il 17 luglio 2014 Eric Garner fu ucciso dalla pressione esercitata sul collo dall’agente Pantaleo, era un nero, alto, corpulento.
Fu fermato dalla polizia di New York perché vendeva sigarette ‘loose’, singole, lungo la strada, soffriva d’asma e inutilmente aveva pregato i poliziotti di non ammanettarlo ripetendo che non aveva fatto niente.
Con una manovra brutale l’agente Daniel Pantaleo iniziò invece a soffocarlo, il braccio al collo e la testa del premuta sul marciapiede. Per undici volte Garner disse queste parole, ‘I can’t breathe’, non riesco a respirare.
Le stesse pronunciate il 25 maggio scorso dall’afroamericano George Floyd a Minneapolis. Il referto medico non lasciò dubbi, la Casa Bianca era guidata da un presidente nero e democratico.
Se dopo otto anni di amministrazione Obama George Floyd muore come Eric Garner vuol dire che il problema non è Trump.
Quanti in questo momento pensano che morti e feriti seguiti all’omicidio di Floyd e alle rappresaglie segneranno l’epilogo politico di Trump, e soffiano sul fuoco delle manifestazioni, rivolte e violenze nella speranza di accelerarne la caduta, stanno facendo un grosso errore.
La rivolta, questo tipo di rivolta, espressa in questa forma di insurrezione tutti contro tutti, senza alcuna regia, capi, obiettivi non può che avvantaggiarlo.
Per un motivo semplice: intanto non si vota domani, se le violenze degenerassero porterebbero voti a Trump.
La condizione dei neri non cambia a seconda del partito guida alla Casa Bianca, non è cambiata con Obama e non cambierà con un Biden.
Nonostante la complessa specificità delle circostanze che portano all’esasperazione in piazza – oggi una pandemia, trenta milioni di nuovi disoccupati – e delle dinamiche dei casi Gardner o Floyd (ma innumerevoli se potrebbero citare), il razzismo resta il peccato originale che nessuna legge e nessun presidente americano riesce a redimere.
“Non è un problema di partito ma di società fin dai tempi della schiavitù. Oggi però dovremmo riflettere sulla forma di queste proteste”. Malgradi le tv, gli hashtag, i giornali, i social, la grande ondata emotiva che ha associato l’immagine di Floyd alle devastazioni, comprendendole e giustificandole, ha lasciato in fretta il posto alle immagini concretissime delle auto in fiamme, delle vetrine distrutte, dei supermercati assaltati, della gente a terra.
L’uccisione di Floyd resta un fatto a sé, la rivolta, a cui non partecipano più solo i neri ma movimenti e adepti delle cause più diverse, diventa un altro fatto, da giudicare in base ai danni che colpiscono, senza alcuna distinzione politica, esercenti e proprietari, conservatori o liberal, di locali, auto, mezzi.
È il caos del tutti contro tutti.
Non esiste qualcuno capace di esercitare la leadership dei ghetti e delle classi svantaggiate, non c’è organizzazione perché per avere struttura e organizzazione e cambiare il sistema occorrono risorse, è necessario l’avvento di una élite culturale.
Spaccare tutto, o soffiare sulle fiamme delle rivolte perché i neri spacchino tutto non servirà a combattere il razzismo, non servirà ai neri per uscire dalla disperazione.
Intanto l‘economia americana è riuscita a sorpresa a creare milioni di posti di lavoro in maggio, sostenuta dalle prime riaperture dell’attività in parte del Paese. Il tasso di disoccupazione è sceso, altrettanto a sorpresa, al 13,3% dal 14,7% del mese precedente.
Sono stati creati, più in dettaglio, 2,5 milioni di impieghi, smentendo previsioni di una perdita di almeno otto milioni di posti.
Il guadagno, secondo gli analisti, è stato il più significativo quantomeno dal 1939.
Il Dipartimento del Lavoro ha indicato che 2,7 milioni di americani che avevano definito il loro licenziamento temporaneo sono tornati al lavoro a maggio.
Il tasso di disoccupazione è contemporaneamente arretrato da livelli record dal 1948 e probabilmente dalla Grande Depressione degli anni Trenta raggiunti in aprile – nel 1933 era stato stimato al 25 per cento.
Gli economisti avevano anticipato una disoccupazione vicina al 20 per cento.
Donald Trump, che vede le sue chance di rielezione legate strettamente a una riscossa dell’espansione, ha convocato una conferenza stampa per evidenziare i guadagni di maggio, al di là di qualunque immaginazione.
Il mese scorso, con dati rilevati attorno a metà maggio, l’occupazione è aumentata in alcuni dei settori che sono stati più colpiti dalla paralisi causata dalla pandemia da coronavirus.
Ospitalità e tempo libero hanno generato 1,2 milioni di assunzioni nette, dopo cadute di 7,5 milioni in aprile.
La ristorazione ne ha creati 1,4 milioni, reduce da perdite di 6,1 milioni di buste paga nel mese precedente. Le costruzioni hanno generato 464.000 nuove buste paga.
Istruzione e sanità hanno aggiunto 424.000 posti. Il martoriato comparto del retail ha aggiunto 368.000 impieghi dopo aver cancellato 2,3 milioni di buste paga in aprile. Il manifatturiero ha riportato 225.000 nuove buste paga dopo una perdita di 1,3 milioni del mese precedente.
Arnaud Daniels
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