I debiti paurosi della PA che penalizzano i fornitori
Secondo l’Eurostat, fa sapere l’Ufficio studi della CGIA, i debiti commerciali della nostra Pubblica Amministrazioni (PA) sono in aumento.
Sebbene questi dati non contengono la componente in conto capitale, che secondo alcune stime ammonterebbe tra i 7-8 miliardi di euro all’anno, i mancati pagamenti di parte corrente hanno toccato, il 31 dicembre scorso, i 49,4 miliardi di euro.
In attesa che il ministero dell’Economia certifichi ufficialmente a quanto ammonta il debito commerciale della nostra PA la situazione è destinata a peggiorare.
Se le difficoltà degli enti locali sono sotto gli occhi di tutti, nulla lasciava presagire che avessero problemi perfino le amministrazioni centrali.
Oltre ai ministeri, in questo primo trimestre dell’anno anche una parte dell’Amministrazione finanziaria non ha rispettato i tempi di pagamento.
Ancorché la Giustizia tributaria e tre Agenzie fiscali abbiano saldato i propri fornitori in anticipo, il Demanio, invece, ha liquidato le imprese dopo 7 giorni dalla scadenza prevista per legge, il ministero delle Finanze dopo 8 e la Guardia di Finanza addirittura dopo 136.
Le cifre riportate dall’Eurostat evidenziano, inoltre, che negli ultimi 4 anni lo stock complessivo è in costante crescita.
Se nel 2016 i debiti di parte corrente erano 44,3, nel 2017 sono saliti a 45,6, nel 2018 hanno toccato i 47,8 per arrivare, come abbiamo appena riportato più sopra, a 49,4 miliardi nel 2019.
L’anno scorso, il dato assoluto era pari al 2,8 per cento del Pil: tra i 27 paesi Ue monitorati, solo la Croazia, con il 2,9%, ha registrato una incidenza più elevata della nostra.
Sebbene la nostra PA sia tra le peggiori pagatrici d’Europa molti si erano convinti che i tempi di pagamento si sarebbero drasticamente ridotti grazie all’introduzione, avviata nel luglio del 2017, dell’obbligo da parte di tutti gli enti pubblici di trasmettere le informazioni relative ai singoli pagamenti attraverso il sistema Siope+.
Questa modalità doveva consentire a regime la quantificazione dell’ammontare delle passività commerciali e il monitoraggio continuo dei tempi di pagamento delle Amministrazioni pubbliche.
Purtroppo, tutto ciò non è ancora avvenuto per l’avversione di moltissimi enti a rispettare le disposizioni di legge, con il risultato che lo stock del debito rimane ancora spaventosamente elevato. Non solo.
Il mancato saldo delle fatture sta innescando degli effetti negativi su intere filiere produttive, diffondendo questa anomalia tutta italiana anche nel settore privato.
L’aspetto paradossale di questa vicenda è che nessuno è in grado di affermare a quanto ammonta esattamente il debito commerciale della nostra PA, nonostante le imprese che lavorano per quest’ultima abbiano da parecchi anni l’obbligo, per essere liquidate, di emettere la fattura elettronica.
Come funzionano i pagamenti in queste transazioni commerciali?
Una volta che il fornitore emette la fattura elettronica, questa transita attraverso una piattaforma controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze detta SdI (Sistema di Interscambio) che la smista all’ente o alla struttura pubblica a cui è indirizzata.
I dati della fattura elettronica vengono acquisiti dalla Piattaforma dei Crediti Commerciali (PCC) che dovrebbe registrare tutti i pagamenti riconducibili alle transazioni commerciali della PA.
Per cercare di intercettare la totalità delle transazioni è stato istituito il Siope+, un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti degli enti pubblici.
r alimentare il Siope+ tutte le amministrazioni pubbliche devono ordinare gli incassi e i pagamenti esclusivamente con modalità informatica.
Sebbene questa prassi sia partita gradualmente dal luglio del 2017, lo Stato non è ancora in grado di dimensionare il debito complessivo contratto da tutte le Amministrazioni pubbliche con i propri fornitori, per il semplice fatto che una parte importante delle Amministrazioni pubbliche non hanno ancora aderito alla piattaforma Siope+.
Pertanto, possono saldare i propri fornitori con scadenze ben oltre quelle stabilite dalla legge.
Con il decreto Rilancio, l’Esecutivo ha messo a disposizione di Regioni, Asl ed enti locali 12 miliardi di euro per liquidare i debiti commerciali maturati entro della fine del 2019.
Una somma che dovrebbe contribuire ad abbassare lo stock, anche se la soluzione più efficace per azzerare o quasi i mancati pagamenti potrebbe essere quella di ricorrere al cosiddetto Fondo salva Stati (MES).
Considerando che circa la metà dei debiti commerciali della nostra PA sono ad appannaggio della sanità, il ricorso al fondo per 36-37 miliardi di euro potrebbe consentire all’Amministrazione pubblica di erogare una buona parte di queste risorse ai fornitori delle aziende sanitarie che da sempre subiscono i ritardi di pagamento più pesanti.
Con la sentenza n° 4, depositata il 28 gennaio 2020, lo stesso giorno in cui la Corte di Giustizia Europea ha bocciato l’Italia per i ritardi dei pagamenti della nostra PA, la Corte Costituzionale ha stabilito che le anticipazioni di liquidità ottenute dagli enti locali per onorare le passività pregresse sono prestiti di carattere eccezionale che devono essere utilizzati per la finalità per cui sono stati erogati e non per migliorare i risultati di bilancio.
I giudici della Consulta, quindi, hanno chiuso definitivamente una controversia sollevata dalla Corte dei Conti nei confronti del Comune di Napoli.
Nel recente passato, infatti, non sono stati pochi i Sindaci e anche i Governatori che hanno utilizzato i prestiti statali sblocca-debiti erogati dal 2013 per assestare i bilanci di Comuni/Regioni, anziché per liquidare le vecchie fatture dei propri fornitori.
Una condotta che la Corte Costituzionale ha finalmente chiarito che non può più essere praticata.
Un principio, ovviamente, che dovrà valere anche per questa tranche da 12 miliardi che il Governo Conte, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, sta mettendo a disposizione di Regioni, aziende sanitarie ed enti locali che, finalmente, potranno saldare i propri creditori.
Arnaud Daniels
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