Quanto costa la fuga dei cervelli all’Italia
Una fuga graduale, continua, quasi inesorabile dallo Stato più vecchio d’Europa, uno tra i più anziani al mondo.
I giovani fanno le valigie e lasciano l’Italia, alla ricerca di un futuro che il Paese non riesce loro a garantire. Solo nel 2018 sono partite 117 mila persone, di cui circa 30 mila laureati, anche se i numeri sono sottostimati.
Un esodo che riguarda un po’ tutto il territorio nazionale, ma che coinvolge soprattutto le regioni del Meridione, dove il mercato del lavoro, perennemente in crisi, non offre possibilità di realizzazione personale.
Un’emorragia che costa caro alle casse pubbliche e delle famiglie italiane, ma che può essere bloccata se si investisse nell’internazionalizzazione degli studi universitari, nell’e-learning, in un sistema di defiscalizzazione differenziato in base alla qualità delle posizioni e dei profili professionali, oltre che alle esigenze espresse dalle imprese.
A dirlo è una ricerca del centro studi della Roma Business School, che prova a formulare una ricetta per favorire il rientro in Italia dei nostri cervelli. Negli ultimi dieci anni, i laureati che hanno abbandonato la Penisola sono stati 182.000.
Un trend causato in parte dalla precarietà economica che molti giovani devono affrontare appena escono dall’Università e provano a mettere i piedi in un’azienda; ma anche dovuto al “mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese – proprio delle generazioni nate e cresciute in epoca di globalizzazione- che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento negli stati esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione”, si legge nel report “Il malessere demografico italiano“, realizzato dal ricercatore Valerio Mancini.
Pochi numeri bastano per capire quanto questa dinamica incida negativamente sul nostro Paese.
Una famiglia spende 165.000 euro per crescere ed educare un figlio fino ai 25 anni, mentre lo stato ne mette 100.000 in scuola e università: in sostanza, si tratta di una perdita di investimenti di circa 25-30 miliardi di euro all’anno, tutto a vantaggio dei nostri vicini europei in termini di tasse, innovazione e crescita, fa notare lo studio.
Infatti, le mete più ambite dai nostri espatriati sono cinque: il Regno Unito, nonostante Brexit, è al primo posto, dopo
aver accolto nel 2019 21.000 persone; seguono Germania (18.000), Francia (14.000), Svizzera (10.000) e Spagna (7.000). In questi stati si concentra il 60 per cento degli italiani emigrati.
Anche se non manca chi decide di spingersi al di là delle frontiere europee, superando l’Atlantico e il Pacifico: circa 18.000 persone sono finite tra Brasile, Stati Uniti, Australia e Canada.
Il fenomeno rappresenta una perdita non solo in termini di investimenti, ma anche di capitale umano, innovazione e gettito fiscale.
Tra chi fa le valigie, ci sono tanti giovani professionisti e risorse qualificate: come ricorda il report, nel 2018 “quasi tre cittadini italiani su quattro che si sono trasferiti all’estero hanno 25 anni o più: sono poco più di 84 mila (72% del totale degli espatriati); di essi, il 32% sono laureati.
Rispetto al 2009 l’aumento degli espatri di laureati è più evidente tra le donne (+10 punti percentuali) che tra gli uomini (+7%)”.
Aspirano a ricoprire ruoli di prestigio e a far carriera: tra le posizioni più richieste secondo la Rome Business School, figurano gli esperti di digital marketing, gli energy manager, i data scientist e i profili legati al legal tech. Inoltre, il fenomeno degli expat comporta anche una riduzione consistente del gettito fiscale dello Stato italiano, che deve rinunciare a 49 miliardi di tasse ogni anno, di cui oltre 25 miliardi dai laureati all’estero.
Questo processo interessa un po’ tutte le regioni italiane, anche se alcune sono più colpite di altre: dal 2006 al 2019, il numero degli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero è cresciuto del 70 per cento, passando da 3,1 milioni a 5,28.
Quasi la metà (il 48,9 per cento) è originario del Sud Italia, il 35,5 per cento del Nord e il 15,6 per cento del Centro: le province caratterizzate da più partenze nell’ultimo anno sono state Roma, Milano, Napoli, Treviso, Brescia e Palermo. Intanto, il ricambio demografico debole contribuisce al processo di riduzione della popolazione italiana in corso: “La questione colpisce particolarmente regioni demograficamente depresse o a più forte invecchiamento. Come ad esempio la Basilicata (-11,3 per mille), il Molise (-10,4) e la Calabria (-9,1) nel Mezzogiorno, ma anche regioni nel Nord del Paese come la Liguria (-8,7)”, fa notare il report.
Per invertire la tendenza, non bastano gli sgravi fiscali e le altre misure economiche adottate finora dai governi per trattenere i nostri cervelli o favorirne il rientro in patria.
Le ultime, in ordine di tempo, sono state quelle introdotte dai decreti Crescita e Rilancio.
Il primo ha previsto per i lavoratori rimpatriati un ulteriore abbattimento dell’imponibile dal 50 al 70 per cento, un’agevolazione che arriva anche al 90 per cento se la residenza viene trasferita in una di queste regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna o Sicilia.
Il secondo provvedimento, invece, adottato in seguito alla crisi sanitaria ed economica provocata dalla pandemia di Covid-19, ha stanziato 1 miliardo e 400 milioni di euro per l’assunzione di 4.940 ricercatori dal 2021 da diluire in due anni.
Certo sono misure che vanno nella direzione giusta, ma devono essere accompagnate da altre iniziative, secondo l’autore della ricerca.
Dal punto di vista formativo, bisogna adeguare le strutture esistenti ai tempi che cambiano, rafforzando l’e- learning e aumentando i programmi universitari in lingua inglese.
Inoltre c’è bisogno di maggiore programmazione e raccordo tra università e imprese, per rispondere in modo efficace alla futura domanda di competenze e professionalità delle aziende. Al contempo, è necessario un sistema di defiscalizzazione differenziato in base alla qualità delle posizioni e dei profili professionali. Infine una velocizzazione delle procedure burocratiche per favorire la circolazione del capitale umano tra imprese ed enti di istruzione superiore.
Salvarico Malleone
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