18 pescatori italiani da 2 mesi prigionieri in Libia, e di Maio?
In Italia vi è un ministro degli Esteri che non appena in lontananza scorge un problema cambia strada o si nasconde in qualche stabile abbandonato.
È a conoscenza che diciotto italiani sono stati sequestrati in Libia da un paio di mesi?
Dal 1° settembre le famiglie di diciotto pescatori vivono momenti di ansia e di paura.
I miliziani del generale Haftar accusano i due pescherecci, salpati dal trapanese, di aver pescato in acque territoriali libiche.
Alle famiglie non arriva alcuna informazione.
La Farnesina dorme e tace, dall’unità di crisi non rispondono.
Di Maio assente e svogliato, si interessa di un po’ di tutto come quando si sfoglia un giornale al bar, ma quelli che sono gli argomenti di sua competenza non li tratta e se li tratta lo fa da incompetente.
I familiari dei sequestrati sono disperati. Al dramma si somma la disattenzione delle istituzioni e di buona parte dei media.
Oramai non si fa altro che parlare di Covid ed i pescatori siciliani sono rilegati in un cono d’ombra inquietante.
Vi è stata una sola telefonata fatta in due mesi e hanno detto di non essere trattati male, forse per non far preoccupare troppo le famiglie.
Ma è arrivata una foto di cinque di loro. Zoomando si sono notati segni violenti.
Graffi, tagli, segni di catene sui corpi.
Di Maio tace e dorme. E allora le famiglie hanno piantato le tende a Roma, davanti a Palazzo Chigi, in segno di pacifica protesta.
Il premier Conte le ha incontrate, lì e ha rassicurato tutti, ma non le ha nemmeno volute ricevere nei suoi uffici a Palazzo Chigi.
Possibile? Certo che è possibile.
Le famiglie dei sequestrati non si arrendono. Sabato hanno condotto una “marcia per la libertà” da Albano laziale a Montecitorio.
Trenta chilometri per scandire le loro ragioni: Da 55 giorni non hanno alcun dato certo di come stiano i pescatori, le risposte arrivano sempre uguali, dal primo giorno assicurano che stanno bene, che sono trattati bene, che mangiano, che hanno ricevuto i farmaci di cui qualcuno di loro ha bisogno, ma non esiste una prova certa delle loro buone condizioni.
Da 35 giorni le mogli e le figlie dei nostri connazionali presi da Haftar dormono ogni notte davanti al Parlamento.
Tra loro una signora di 74 anni, le figlie 20enni di due marittimi, diversi bambini.
Non è mai sceso nessuno a dare conforto, a proporre una sistemazione, a dire di non stare al freddo, a digiuno, a rassicurare con risposte più concrete, dirette. A dare una parola di conforto.
Dietro le quinte, un contributo concreto alle famiglie accampate lo avrebbero dato alcune parlamentari, come le siciliane Bartolozzi, Prestigiacomo e Siracusano.
E in aula Forza Italia ha interpellato il ministro degli Esteri con un question time.
«Il nostro caro ministro – dice l’armatore di una delle due navi, Marco Marrone – non si è preoccupato mai una volta di passare da noi e dire di andare via, a proporci un contatto diretto.
Ci sarebbe bastato anche questo, ma non c’è stato, e noi continueremo finché non verranno rilasciati i nostri pescatori».
La Farnesina assicura: le notizie sono confortanti, le trattative richiedono discrezione.
Ma aver tagliato i contatti con i familiari appare atipico, nella storia della gestione delle crisi da sequestro in Libia.
Haftar e Serraj hanno firmato venerdì a Ginevra uno storico accordo per il cessate il fuoco permanente, accolto con ottimismo dalle cancellerie europee che hanno seguito, con le Nazioni Unite, il negoziato.
Haftar se vuole dare seguito vero al cessate il fuoco, deve interrompere le ostilità anche verso i pescatori italiani.
Guglielmo d’Agulto
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