23 novembre 1980 ore 19,34 il terremoto cambiò il Paese
La mattina era stata insolitamente mite, con una temperatura quasi da primavera e un sole troppo caldo per fine novembre, in un’aria ferma in modo irreale.
La scossa delle 19.34 cambiò tutto.
Cambiò le condizioni metereologiche, perché, subito dopo il silenzio profondo seguito al rombo della terra e al crollo degli edifici, una notte gelida piombò sui superstiti, e la prima neve si affacciò sullo scenario devastato dei paesi delle aree interne tra la Basilicata e le province dell’Avellinese e del Salernitano.
Ma cambiò anche una civiltà contadina antica di cui quella parte di Italia era orgogliosa.
Il sisma dell’Irpinia decretò la fine di un mondo che ora si può vedere in controluce in quei musei all’aperto che sono diventati i centri antichi di borghi come Conza o Laviano, conservati in ciò che ne è rimasto dopo la rimozione delle macerie, e ricostruiti interamente più a valle.
E cambiò anche la vocazione economica di quella porzione del Cratere che ospitò, negli anni a seguire, l’arrivo dei grandi nomi dell’industria del Nord, attirati dalle risorse a fondo perduto e dagli sgravi fiscali della legge 219/81, spesso per poi tornare a casa loro, lasciando un deserto di capannoni e di cassa integrazione.
“C’è un luogo comune che sta diventando ingiusto e che rischia di compromettere il futuro. I sindaci dell’Irpinia per l’emergenza del terremoto spesero poco e bene. Lo dice la Commissione parlamentare d’inchiesta Scalfaro, ma questa frase è stata tenuta nel cassetto”, disse con foga all’AGI Giuseppe Zamberletti, in una delle sue ultime interviste, quando era arrivato a Sant’Angelo dei Lombardi nel giorno del 36° anniversario del terremoto.
Da commissario di governo per l’emergenza post sisma in Irpinia e Basilicata, da padre putativo di quello che è oggi la Protezione civile, arrivata ad essere quella macchina di soccorso che noi conosciamo proprio per le sue intuizioni, Zamberletti, rivendicando un metodo che ha consentito di gestire l’assegnazione di migliaia di case provvisorie agli sfollati, e, senza nascondere gli scandali e gli sprechi che ci furono, puntualizzò: “Finirono nel calderone della ricostruzione post sismica anche situazioni che col terremoto non c’entravano nulla”.
Però sulla questione dell’industrializzazione, “l’errore fu di non tramutare quei gemellaggi di solidarietà tra imprese del Nord e terremotati d’Irpinia e Basilicata in sinergie che potessero dare la spinta a far nascere un’imprenditoria locale, autoctona”.
L’altro grande fronte delle polemiche, durato decenni, fu quello dei soccorsi.
“Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione poi dei sopravvissuti vivrà nel mio animo. Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera. Ebbene, a distanza di 48 ore non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari”, disse senza mezzi termini due giorni dopo la catastrofe il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, agli italiani, parlando in televisione a reti unificate.
Poche ore prima, in mezzo ai disperati che avevano scavato per giorni a mani nude nel freddo per disseppellire i loro cari, vivi o morti , dalle macerie, aveva promesso: “Non ne faccio di parole. A parlare saranno i fatti”.
Anche il papa, quel Karol Wojtyla asceso al soglio di San Pietro come Giovanni Paolo II solo due anni prima, volle andare in quei luoghi di sofferenza, a 48 ore di distanza dalla tragedia, quando ancora molte strade per arrivare nel cuore del sisma erano impraticabili per macerie.
E con un fuoriprogramma da Balvano giunse ad Avellino all’ospedale Moscati in viale Italia. “Ho cercato i malati, I feriti nell’ospedale ma l’ospedale era crollato – spiegò a un giovane cronista – speriamo di incontrarci in una situazione migliore. Vi auguro con tutto il cuore coraggio e speranza. Pregheremo insieme”.
Ricostruzione e polemiche andarono avanti per decenni, riesplodendo dieci anni dopo con gli articoli di Indro Montanelli per il Giornale, passando attraverso una Commissione parlamentare di inchiesta, presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, istituita con legge del 1989, modificata un anno dopo, che il 27 gennaio 1991 licenziò una relazione finale di 644 pagine.
“Lo Stato ha dato, lo Stato deve chiedere conto di quelle spese”, scrisse la Commissione.
A far emergere luci e ombre di quegli anni ci sono stati processi, libri, inchieste.
Ma permane vivo il ricordo in chi è sopravvissuto di come in un meno di un minuto la sua vita sia cambiata, mentre il pavimento di casa oscillava sotto i suoi piedi e le pareti non correvano più lisce e dritte sotto le sue dita.
E anche, in tante comunità, il ricordo di una solidarietà senza clamore, fatta di gente da ogni parte del paese che prese ogni mezzo di trasporto possibile e venne a portare una coperta, una tenda, una roulotte, cibo e vestiti o anche solo conforto a chi non aveva più nulla.
Claudia Treves
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