Le migrazioni Crotone è la provincia che si spopola di più
Secondo lo Svimez sono 45mila le persone che “southworking”: lavorano in smart working al Sud per aziende del Nord.
Ma come impatterà questo fenomeno, legato per il momento alla pandemia da coronavirus, sulla migrazione interna che nel 2018, ad esempio, ha portato 16mila laureati a trasferire la residenza dal Nord al Sud?
Per il momento non lo sappiamo. Ma, visto che ci dobbiamo accontentare dei dati Istat del 2019, siamo andati a vedere quali province del Sud sono più colpite dalla migrazione interna.
E lo abbiamo fatto prendendo il saldo migratorio interno: la differenza tra il numero degli iscritti per trasferimento di residenza da un Comune di un’altra provincia e il numero dei cancellati.
Dobbiamo, quindi, precisare che i dati potranno essere sottostimati considerando che, almeno nel periodo iniziale, chi si trasferisce non sposta anche la residenza.
La mappa del saldo migratorio interno
La provincia che ha il saldo migratorio interno più positivo è Bologna. Ha raggiunto il record di 6 per mille abitanti. All’estremo opposto Crotone, dove il saldo è negativo di 10,4.
Vuol dire che nel 2019 ogni mille crotonesi 10,4 se ne sono andati, anche se probabilmente sono stati anche di più considerando che qualcuno che si è trasferito deve pur esserci. 10,4 infatti è la differenza tra arrivi e partenza.
Come possiamo vedere sulla mappa in alto, dopo Crotone le province con i saldi più negativi sono quelle di Caltanissetta, Reggio Calabria, Enna, con -8,4, -7,3, -6,8.
Ormai neanche le grandi città, che una volta attiravano anche al Sud immigrati dalla campagna, si salvano.
A Napoli il saldo migratorio interno è negativo per 4,5 ogni 1000 abitanti, a Bari di 2, a Palermo di 4,3. Al Nord dopo Bologna vengono invece Parma, Monza, Ravenna, con saldi positivi di 5,5, 4,3, 3,8
Milano è decima con un tasso migratorio interno di 3,2, comunque inferiore a quello esterno, di 4,9.
Il dato milanese non stupisce, negli ultimi anni è diventata un polo di attrazione molto importante in Italia, grazie a un’economia molto più vivace di quella del resto del Paese. Ma non è sempre stato così.
Fino al 2011 il saldo era negativo, e non di poco. Nel 2003 era addirittura negativo per 7,2.
Erano molti di più quelli che se ne andavano piuttosto che quelli che arrivavano. Un destino che la accomunava a Torino, seppure qui i numeri erano molto più ridotti.
Vi era un deflusso di persone verso le altre province, Pavia, Como, Lodi, verso paesi più piccoli, con case meno costose, e più a misura d’uomo.
Erano le conseguenze dell’emergere dei distretti produttivi delocalizzati a discapito della grandi industria concentrata nelle città e nell’hinterland.
Tutto ciò è cambiato dopo la crisi, sono state le città a tornare centrali nell’economia, i servizi, le multinazionali, e Milano, assieme ai comuni più vicini, è tornata ad attirare persone.
In generale durante la crisi del 2009-2013 vi è stata una riduzione dell’immigrazione interna, un po’ ovunque, a causa della minore disponibilità di posti di lavoro. È invece ripartita l’emigrazione verso l’estero.
Ma la ripresa economica ha poi ancora una volta ha favorito il Nord, e i meridionali hanno ripreso a trasferirsi in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto. E non solo loro. In questi numeri hanno un peso molto importante anche i movimenti interni degli immigrati.
Da qui i saldi alti di alcune province emiliane o lombarde, in cui non vi sono grandi città, ma in cui la percentuale di immigrati è alta.
Gli stranieri tendono a muoversi più facilmente, sono mediamente più giovani e senza lo stesso radicamento e gli stessi legami familiari degli italiani.
I dati si riferiscono al 2019
Guglielmo d’Agulto
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