Buon Natale cantando Tu scendi dalle stelle
Natale, 1890. Ci troviamo in Casa Giuseppe Verdi, a Genova.
L’elegante Palazzo Doria è un gioiello di architettura, alcova per il famoso maestro del romanticismo dell’opera italiana. L’“orso” – così era chiamato il famoso compositore di Busseto – ha appena partecipato alla Messa di Natale assieme alla compagna, il soprano Giuseppina Strepponi.
Se l’ha fatto, è stato molto probabilmente per “renderla contenta”, visto che la fede, la religione, non sono mai stati tanto nelle corde del maestro parmense.
Eppure, quella sera, c’è stato un canto che ha commosso il “vecchio orso”, tanto a muoverlo a porgere i suoi “preziosi complimenti” al coro di ragazzi che aveva animato la Messa, “per aver eseguito con bella intonazione quella tradizionale canzone sacra, che era Tu scendi dalle stelle, senza la quale Natale non è Natale”.
E il maestro non aveva certo tutti i torti.
“Tu scendi dalle stelle” rappresenta uno dei più famosi brani natalizi.
È un canto che commuove e muove l’animo alla grotta di Gesù Bambino.
Con la sua melodia così dolce e ricca di tenerezza, sembra catapultarci in uno di quei tanti tradizionali presepi che vengono realizzati nelle famiglie dei fedeli.
Quella sua tipologia di nenia sembra accarezzare il Bambino.
E, con Lui, anche noi siamo cullati fra i cieli stellati di cartapesta del presepe.
La canzone ha origini antiche. Infatti, il testo che tutti conosciamo deriva da un motivo scritto nel dicembre 1754, dal titolo “Quanno nascette Ninno” (chiamato anche con il nome “Pastorale”), il cui autore era stato addirittura sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787).
Fu scritto in lingua napoletana.
E fu una grande novità per l’epoca: il primo testo di un canto religioso, scritto in lingua partenopea.
Quando fu pubblicato nel 1816, il canto venne chiamato “Per la nascita di Gesù”.
Pare che “Quanno nascette Ninno” fu elaborata quando sant’Alfonso, ridotto allo stremo delle forze, sollecitato dai superiori trascorse un periodo di riposo nel convento di Santa Maria de’ Monti a Scala, vicino Ravello.
Nel corso di una delle sue missioni, nel 1754, sant’Alfonso stava predicando a Nola, in provincia di Napoli.
Era ospite di un sacerdote del luogo, don Michele Zamparelli. Il santo, proprio in quel luogo, volle comporre un nuovo inno natalizio, poche ore prima della Santa Messa di Natale.
Erano loro due, in una stanza, e praticamente il nuovo canto, “Pastorale”, fu scritto in presenza dello stesso don Zamparelli che fu il primo, in assoluto, ad ascoltare la poesia-canzone.
Il sacerdote, emozionato dall’evento, chiese subito al santo di poterla copiare.
Il santo però si oppose, volendola prima farla stampare.
Poco dopo, il santo scese per celebrare la Messa di Natale, lasciando i fogli del componimento in vista.
Don Michele li copiò e nascose i preziosi foglietti nelle sue tasche.
Aveva raggiunto l’ambizioso traguardo. Ora poteva andare a concelebrare.
E fu in questo momento che accadde un episodio assai divertente.
Sant’Alfonso era proprio nel momento di cantare quel canto che aveva composto poco prima, quando gli mancarono le parole.
Ma si sa, i santi conoscono tutto e, allora, mandò un chierichetto a chiedere a don Zamparelli “quei fogli che stavano nel suo taschino”.
La chiesa fu “riempita”, finalmente, dalle note del nuovo canto sacro.
Era nata quella che noi oggi cantiamo come “Tu scendi dalle stelle”.
Ma come è composta questa famosa melodia? Il testo del canto è costituito da strofe di sette versi ciascuna, eccetto alcune, irregolari. La lingua usata, lo stile, la scelta delle parole davvero lasciano incantato qualsiasi ascoltatore.
Quasi subito, le prime strofe ci fanno entrare nell’atmosfera:
“Quanno nascette Ninno a Bettlemme/ Era nott’e pareva miezo juorno./ Maje le Stelle – lustre e belle Se vedetteno accossí:/ E a cchiù lucente/ Jett’a chiammà li Magge all’Uriente./ De pressa se scetajeno l’aucielle/ Cantanno de na forma tutta nova:/ Pe ‘nsí agrille – co li strille,/ E zombanno a ccà e a llà;/ È nato, è nato,/ Decevano, lo Dio, che nc’à criato”.
Proviamo a tradurre questo napoletano così antico in un moderno italiano per avere meglio il quadro della scena:
“Quando nacque il Bambino a Betlemme/ Era notte eppure sembrava mezzogiorno./ Le stelle così belle e lucenti non si videro mai così:/ E la più lucente/ andò a chiamare i Re Magi dell’Oriente./ Velocemente si svegliarono gli uccelli/ cantando in nuova forma:/ così anche i grilli, con le stelle,/ e saltellano qui e lì;/ È nato, è nato,/ così dicevano, Dio che si è incarnato”.
È la natura che parla e che partecipa a tutta la bellezza della nascita di un bambino, anzi del Bambino.
Tutti partecipano a questa Natività, con stupore e meraviglia.
È la stessa che dovremmo avere noi, ogni 24 dicembre, alla Vigilia di Natale. Come?
Semplicemente ritornando bambini. “Tu scendi dalle stelle” è teologia, in poesia e musica.
Claudia Treves
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