Gli olandesi predicano male e razzolano malissimo
Quando nel mese di ottobre “i quattro frugali” (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia) hanno inscenato la massima intransigenza sulla questione del “rispetto dello Stato di diritto” come condizione per permettere l’accesso ai fondi europei, non pochi hanno pensato che la vera ragione che li muoveva fosse quella di rendere irreversibile il veto di Polonia e Ungheria all’approvazione del bilancio Ue e del Fondo per la ripresa (Recovery Fund), in modo da far saltare il piano finanziario contro il quale avevano obiettato e al quale avevano fatto resistenza nel precedente mese di luglio.
I primi ministri dei quattro paesi avevano criticato l’entità della manovra, il fatto che fosse composta non solo di prestiti ma anche di “finanziamenti a fondo perduto” e che le condizioni per l’esborso e i controlli sull’uso dei soldi non fossero sufficientemente severi.
Si era distinto Mark Rutte, capo del governo olandese, che aveva chiesto l’introduzione di un diritto di veto nazionale sulla distribuzione dei fondi.
Politici e media dei paesi del Sud Europa avevano reagito affibbiando all’Olanda l’etichetta di “paradiso fiscale” che non poteva permettersi il lusso di fare la morale agli altri senza prima guardare in casa propria, perché quello che succede in Olanda danneggia il fisco di tutti gli altri stati Ue e non solo.
Nei mesi successivi sono arrivate le prove di queste accuse, sotto forma di studi e rapporti che illustravano e quantificavano i danni che il sistema fiscale olandese arreca non solo agli altri paesi europei, ma anche ai paesi emergenti.
Ultimo in ordine di tempo è un rapporto commissionato dal ministero degli Esteri olandese a The Sentry, un team investigativo che indaga sul riciclaggio di denaro sporco e sulle fughe di capitali dall’Africa subsahariana.
Per rifarsi un’immagine e allontanare le critiche, l’Olanda fra varie iniziative di facciata ha deciso di finanziare il rapporto “Corruzione nella regione dei Grandi Laghi e possibili legami col sistema finanziario olandese”.
Ma gli esiti del rapporto rischiano di ritorcersi contro chi lo ha commissionato, soprattutto se si leggono i suoi contenuti in parallelo col World Investment Report 2020 dell’Unctad, l’organo dell’Onu che esamina le questioni relative al commercio e allo sviluppo a livello politico.
Secondo tale rapporto, pubblicato il 16 giugno scorso, l’Olanda era il primo paese del mondo per quantità di investimenti diretti nel continente africano alla fine del 2018.
Con 79 miliardi di dollari sopravanzava la Francia (53 miliardi), il Regno Unito (49 miliardi), gli Usa (48 miliardi) e la Cina (46 miliardi).
Come è possibile che un paese con un Pil che è un terzo di quello della Francia e del Regno Unito, meno di un quindicesimo di quello della Cina e meno di un ventesimo di quello degli Usa abbia quasi il doppio degli investimenti di ciascuno di costoro in Africa, continente col quale non ha legami storici (tranne i contadini immigrati in Sudafrica alla fine del Seicento)?
Il facile sospetto è che il grosso della cifra sia rappresentato da capitali africani trasferiti nominalmente in Olanda e intestati a società controllate da esponenti delle élites africane che sfruttando le lasche normative fiscali olandesi pagano tasse irrisorie su quei soldi che sono investiti e danno profitti in Africa.
Il rapporto di The Sentry accredita questa interpretazione attraverso l’analisi di cinque casi, anche se non fa nomi tranne quello del paese dove ha individuato alcune truffe: la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), cioè l’ex Zaire.
«Un individuo con stretti legami di affari con una personalità politica altolocata nella Rdc», si legge nel commento, «controlla numerose compagnie basate in Olanda che costituiscono un rischio per il settore finanziario olandese (…). L’individuo e molte compagnie di cui costui risulta il beneficiario effettivo sono sottoposte a sanzioni Usa. L’impero imprenditoriale posseduto come beneficiario e controllato dall’individuo comprende varie società sussidiarie costituite presso varie giurisdizioni senza apparente scopo. (…) Molte sussidiarie possedute in ultima istanza dall’individuo sono tuttora registrate in Olanda, hanno la residenza fiscale olandese mentre i direttori nominali fanno base a Gibilterra. Queste sussidiarie beneficiano dei vantaggi fiscali locali mentre adempiono solo a un minimo dei requisiti sostanziali olandesi, che non comprendono requisiti minimi in materia di capitale e di numero di impiegati».
Riguardo al secondo caso si legge: «Una grande multinazionale (Compagnia A) incorporata in Lussemburgo ha una significativa presenza olandese attraverso un complesso network di società capogruppo e di sussidiarie.
Esso include la capogruppo diretta della Compagnia A, che è basata in Olanda, e una quantità di sussidiarie di piena proprietà che sono coinvolte in vari progetti minerari congolesi.
Alcune di queste sussidiarie sono state coinvolte in transazioni che sono sotto indagine da parte delle autorità di un altro paese.
La Compagnia A ha molte compagnie capogruppo affiliate e sussidiarie registrate in Olanda, due delle quali possiedono molte sussidiarie nella Rdc e ditte in giurisdizioni opache.
Le strutture azionarie delle sussidiarie della Compagnia A che hanno base nella Rdc contengono molteplici livelli di società capogruppo basate in Olanda. Le sussidiarie basate nella Rdc hanno stretti legami con personaggi politici altolocati e con familiari di politici altolocati nella Rdc».
Stessa musica nel terzo caso: «Uno dei più grandi trader del mondo specializzato in materie prime (Compagnia B) usa entità che si trovano in Olanda come gestori di patrimoni, joint ventures e capogruppo dirette che detengono la maggioranza azionaria di controllo, anche se sono nelle mani di un’altra compagnia. Possiede anche un certo numero di sussidiarie e joint ventures con sede nella Rdc.
La Compagnia B, le cui operazioni a livello globale sono macchiate da accuse di corruzione, fa anche affidamento su compagnie capogruppo in giurisdizioni opache ed è coinvolta in joint ventures e relazioni di affari con personalità politiche altolocate. Compagnia B è stata oggetto di indagini a contenuto penale in due giurisdizioni.
La capogruppo diretta di Compagnia B ha sede in Olanda, mentre il proprietario beneficiario ultimo è registrato a Panama».
Situazioni simili si riscontrano negli altri due casi esaminati, che chiamano in causa le giurisdizioni di Olanda, Regno Unito e Rdc,
Secondo dati pubblicati da Statistics Netherlands (l’Istat olandese) per la prima volta nel 2018, l’anno prima l’Olanda aveva ricevuto 5.200 miliardi di dollari di investimenti esteri diretti, l’80% dei quali era ripartito per altre destinazioni opache dopo aver usufruito dei vantaggi del sistema olandese; nel paese si troverebbero infatti le caselle postali di 14 mila aziende straniere che in realtà non operano sul posto.
Ad approfittare delle normative vigenti sono multinazionali come Google e Apple, personalità dello spettacolo come i Rolling Stones e gli U2. Secondo un calcolo effettuato da Arjan Lejour, docente di economia dell’università di Tilburg, il sistema fiscale olandese sottrae agli altri paesi 22 miliardi di euro all’anno di gettito fiscale.
Invece secondo i calcoli di Tax Justice Network in miliardi di dollari, risultato di una proiezione di dati ufficiali dichiarati dagli stati all’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che riunisce 36 paesi industrializzati del mondo, i soldi persi dal fisco di tutti i paesi a causa del regime fiscale olandese sarebbero un po’ meno: 24 miliardi di dollari, che nel luglio scorso equivalevano a 21 miliardi di euro.
L’Olanda sarebbe comunque il paese che più danni causa alle casse degli altri stati, staccando di molto le altre giurisdizioni che più sottraggono gettito fiscale: Bermuda (territorio del Regno Unito, 10,9 miliardi di dollari), Puerto Rico (territorio Usa, 9 miliardi), Lussemburgo (8 miliardi) e Irlanda (7,9 miliardi).
Quanti dei 21 o 22 miliardi di euro in questione sarebbero sottratti dall’Olanda al gettito fiscale di paesi dell’Unione Europea? Secondo il Parlamento europeo sono 11,2 miliardi. Il dato è contenuto in una risoluzione votata il 26 marzo 2019 (A8-0170/2019).
E da Amsterdam pretendono di insegnare regole e correttezze? Ma ci faccino il piacere.
Niccolò Rejetti
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