Vino e, soprattutto, bollicine il 2020 è stato profondo rosso
Se si tengono aperti i ristoranti fino alle 18, significa che l’80 o l’85% del fatturato è perso.
Ma essendo aperti, ristori o sovvenzioni non sono previsti.
Il settore è in ginocchio.
Quei politici che si sono riempiti la bocca con le eccellenze gastronomiche italiane, adesso se ne sono dimenticati.
Perché fondamentalmente non capiscono che l’artigianato e l’agricoltura sono la struttura portante della nostra economia.
Con l’HoReCa ferma (acronimo di Hotellerie-Restaurant-Café o Catering che dir si voglia, ndr),tutti coloro che si sono affidati all’HoReCa come punto di riferimento sono oggi distrutti.
E nella maggior parte dei casi sono piccoli e medi produttori che non possono sostenere il peso e gli oneri della grande distribuzione.
Eppure per il mondo del vino è stata una vendemmia eccellente quella 2020, come certificato anche dal ministro per le Politiche agricole Teresa Bellanova.
Ma per i consumi è il semestre peggiore di sempre: gli scambi complessivi di vino hanno fatto registrare un calo pari al 15,2% per una perdita di circa 1,4 miliardi di euro rispetto allo stesso semestre di un anno fa.
L’andamento peggiore è quello delle bollicine: -28,8%, secondo i dati dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma diffusi a metà ottobre.
Tendenza più o meno confermata lo scorso 14 dicembre dall’analisi dell’Osservatorio Unione italiana Vini (Uiv) e da Ismea con un trend di contrazione a valore del 9% tra domanda interna ed estera.
Crollano i top di gamma, come lo Champagne in favore di prodotti più accessibili. In sintesi, secondo Uiv.
A fronteggiare le cadute e le chiusure forzate dell’HoReCa, dovrebbe essere la Grande distribuzione organizzata ad aiutare a tenere a galla il mercato.
Nessuno fa budget o promesse, perché sa che non le può mantenere.
Il mondo reale è sospeso fino a quando? A quale data? Non si sa. Chi dice aprile, chi giugno.
Le regioni cambiano colore di continuo ieri giallo, oggi rosso, domani arancione. Un caos impressionante, si vive a mezza giornata, si cambia parere ogni due ore.
Le cantine sono piene di vino e finché si tratta di Barolo, Barbaresco o Brunello di Montalcino, vini che possono restare lì a invecchiare, va tutto bene, ma se si deve fare Moscato d’Asti, o lo si vende adesso o non lo si vende più e rimane in capo alle aziende che l’hanno prodotto.
Ci sono poi problemi di spazio e di stoccaggio con cui fare i conti.
Un vino bianco del 2019 non tutti sono disposti a comprarlo, quindi che si fa?
Cantine piene, prezzi in caduta? Un crollo dei prezzi significherebbe una svendita dei prodotti e, di conseguenza, anche del brand italiano, situazione che va evitata.
In un confronto aperto tra il ministro Teresa Bellanova e le associazioni di categoria si è arrivati ad un accordo per cercare di finanziare in qualche modo l’eccedenza ipotetica sia di campagna sia di cantina.
Ai produttori Bellanova ha garantito che se mandano il vino in distilleria per fare alcol, viene rimborsato loro un tot.
Vini vecchi, di 5 anni fa, sono stati mandati in distilleria per diventare alcol, ciò che ha contribuito a svuotare un po’ le cantine, almeno per un 20%.
E anche il prezzo dell’alcol è così sceso un po’.
Le stime sulle vendite in Italia e all’estero in questa congiuntura premiano la maggiore versatilità di gamma delle bollicine italiane, in grado di reagire con più elasticità alle dinamiche di mercato, però occorre ricordare come a fronte di una sostanziale tenuta dei volumi, anche i nostri sparkling (scintillanti) stiano pagando un caro prezzo sulla partita valore, all’estero come in Italia.
Solo i grandi marchi forse riescono a cavarsela ma piccoli produttori, negozi di vicinato e piccola produzione locale, anche di altissima qualità, se non c’è la ristorazione aperta e non c’è più il turismo non esistono.
Tutti faticano e cercano di creare delle opportunità di business. Si sa che fino ad aprile bisogna tenere duro e poi dovrebbe ripartire il mercato.
Il vino continua a viaggiare, rispetto ai prodotti più deperibili. Certo, ci sono dei vini più o meno deperibili ma il guaio è che tutto il circuito di questo comparto è bloccato.
E quando finiranno cassa integrazione e sostegni vari ci saranno milioni di persone senza lavoro.
Arnaud Daniels
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