Il colossale tesoro della mafia ammonta a 3.000 miliardi
Secondo i calcoli della Fondazione Caponnetto mafia, camorra, ndrangheta e delinquenza varia hanno accumulato un tesoro di circa 3.000 miliardi.
Se i politici si impegnassero a recuperarlo e trasferirlo nelle casse dello Stato, dalla sera alla mattina scomparirebbe la voragine del debito pubblico che ammonta a 2.600 miliardi.
Antonino Caponnetto è stato alla guida del pool antimafia a Palermo e con lui collaborarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
“Siamo di fronte a un’Italia divorata dalla mafia” ha dichiarato Salvatore Calleri, presidente della Fondazione. Azzerando il debito pubblico rimarrebbe una bella somma per ridurre le innumerevoli gabelle e rilanciare le infrastrutture.
Ecco quanto sostiene Calleri: “C’è un tesorone da 3.000 miliardi di euro che è stato messo da parte dalle varie organizzazioni mafiose. Di fronte a un valore del genere che permetterebbe di risanare il debito pubblico italiano non si può che rimanere esterrefatti dal silenzio attorno a tale questione”.
“Il recente caso di soldi riconducibili su conti esteri sollevato dal quotidiano Domani ha trovato spazio sui media nazionali solo per 24 ore. Un episodio che si basa su una informativa della polizia di Reggio Calabria, ha permesso di quantificare in circa 500 miliardi di euro di cui oltre il 20% liquidi, il giro di affari di un broker usato da gruppi criminali campani, calabresi e siciliani anche se ancora il caso è aperto e non ci sono condanne e non è chiaro neppure se ci sono indagati. Il dato dei 500 miliardi è però emerso in modo netto dalle intercettazioni di cui alla informativa e pertanto è plausibile. A livello internazionale esistono diversi broker delle organizzazioni criminali italiane e la Fondazione Caponnetto insieme all’Omcom ritiene che all’incirca il valore di questo cosiddetto tesorone sia presumibilmente pari a 3.000 miliardi di euro”.
La mafia ai tempi del Covid si occupa di sanità. Pochi lo ricordano, ma da anni la mafia si occupa di farmacie e parafarmacie tant’è che ci sono oramai numerose inchieste in corso.
“Le farmacie – ha aggiunto Calleri – hanno un ruolo importante nel territorio e per questo sono appetibili. Il traffico dei farmaci, vero o falsi, delle bombole di ossigeno e i furti sono un business che fa gola ai mafiosi. Un altro settore quindi su cui stare attenti sarà la distribuzione dei vaccini, sia influenzali che soprattutto quelli Covid. Bisognerà prestare molta attenzione ai trasporti degli stessi nel momento della distribuzione”.
“Un ulteriore rischio corrente è quello degli appalti nelle forniture sanitarie dove la fretta dovuta alla emergenza ha favorito i clan e le truffe. Le inchieste in proposito sono numerose. Non rimane che affrontare la gestione delle Asl e degli ospedali che a volte sono in mano alle mafie specie dove controllano il territorio e grazie alle nomine di professori e primari a loro vicini. Per ultimo, ma non per importanza, non bisogna dimenticare il traffico di ambulanze, diffuso soprattutto al sud e che è una vera piaga sociale”.
Una delle regioni maggiormente nel mirino delle tre organizzazioni malavitose è la Toscana
“Il modello economico toscano basato su turismo, ristorazione e settore alberghiero risente in modo particolare della pandemia e di conseguenza ci troviamo di fronte ad un aumento del rischio di infiltrazione criminale e mafiosa vista la inevitabile debolezza economica”.
“Questo comporta una serie di rischi economici e sociali come usura, riciclaggio mediante acquisizione di attività, infiltrazioni criminali nelle proteste mirandi ad assumere informazioni su chi è in difficoltà e aumento delle dipendenze e del consumo di droga collegato al periodo pandemico”.
Con la paura ed il terrore del covid diffuso dai governanti la malavita si è maggiormente organizzata negli investimenti immobiliari, creazioni di nuove imprese per rilevare ristoranti e negozi, fiaccati dalle strampalate misure anti Covid e ingolositi dal contante di cui dispongono i faccendieri delle cosche, che in questi mesi stanno andando su e giù per lo Stivale.
Una sorta di Prodotto interno doloroso, di cui lo Stato beneficia perché una piccola parte finisce nelle casse pubbliche.
E che crea welfare parallelo in alcune zone del Paese (anche in Europa) che impedisce al disagio di scoppiare con fragore.
Non stupisce che alcuni politici locali vadano a braccetto con imprenditori in odore di mafia.
Il cuore del problema è l’impatto che l’economia sommersa ha sulla pace sociale, l’unica cosa che ai nostri governanti interessa davvero. I 3mila miliardi potrebbero saldare il nostro debito pubblico, ma a che prezzo?
Se il Sud non esplode è perché – come dice la Dia – i boss tengono la rabbia al guinzaglio.
Un guinzaglio fatto di lavoro nero, corruzione, favori. Se lo Stato funzionasse, se il disagio avesse delle risposte, i boss farebbero la fame.
Poi si dovrebbe discutere dei tempi biblici della giustizia, dei processi monstre con centinaia di imputati, delle ordinanze di migliaia di pagine di riscontri, intercettazioni e ricostruzioni che friggono i pesci piccoli nello stesso olio nel quale si preparano le carriere di una percentuale di politici.
Piero Vernigo
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