Il marchio storico Rifle è giunto al capolinea
70mila capi d’abbigliamento nuovi firmati Rifle, tra cui t-shirt e giacconi, felpe e camicie, scarpe, maglie e slip ma soprattutto i mitici jeans, oggetto di culto che l’azienda toscana, di Barberino di Mugello, si fregia di aver portato per prima in Italia dagli Stati Uniti nell’immediato secondo dopoguerra.
Rifle è stata dichiarata fallita dal tribunale di Firenze lo scorso 1 ottobre, e ha ottenuto dal giudice 45 giorni di esercizio provvisorio: ora quei 70 mila capi di abbigliamento nuovi verranno messi in vendita a prezzi stracciati dal tribunale fallimentare di Firenze, tramite l’Istituto vendite giudiziarie (Isveg), in un temporary outlet nei pressi dell’azienda a Barberino.
La storia di Rifle comincia con Giulio Fratini, originario di Campi Bisenzio – piccolo comune in provincia di Firenze – che intuisce già in tempi non sospetti l’enorme potenziale del sogno americano, e durante la Seconda guerra mondiale comincia a comprare a peso i vestiti usati dei soldati statunitensi per rivenderli a Prato.
Per puro caso scopre i jeans prodotti dalla Cone Mills, una società del North Carolina, s’imbarca insieme al fratello Fiorenzo e una volta negli Stati Uniti i due si recano nella sede dell’azienda a Greensboro, dove raggiunge un accordo per importare il denim in Italia.
Nel 1949 a Prato viene fondata la Confezioni Fratini, l’azienda di famiglia che alla fine degli anni Cinquanta – nel 1958 – viene trasferita a Barberino del Mugello, mutando denominazione in Super Rifle S.p.A. (fino al 2013) e, successivamente, in Rifle S.r.l..
Il brand ha un successo crescente dagli anni Sessanta fino agli anni Ottanta, periodo di massima distribuzione e capillarità: nel decennio dello yuppismo, infatti, oltre alle vendite classiche dei suoi articoli – soprattutto i jeans, particolarmente apprezzati per la loro comodità e resistenza – la moda casual da una parte e i movimenti come quello dei paninari dall’altra, ne fecero uno dei capi più venduti.
Il boom del marchio non si limita però all’Italia: a Svizzera, Regno Unito, Israele e Paesi Bassi, dove il marchio viene venduto fin dagli anni Settanta, si aggiungono ex-URSS, Bulgaria, Polonia, Cecoslovacchia e una buona fetta di Europa Orientale.
Qui la richiesta fu talmente elevata, da costringere il brand a inaugurare una serie di negozi e spacci; in Russia Rifle fu una delle prime aziende ad aprire un punto vendita, e nel 1988 riuscì a vendere nei magazzini Gum di Mosca qualcosa come tre milioni di capi.
Negli anni Novanta la presenza di monomarca in tali paesi si riduce progressivamente, complice la possibilità di esportare abiti e accessori, vendendoli direttamente alle grandi catene di distribuzione.
Anche le aree di produzione dell’azienda barberinese cambiano rotta: lasciati Marocco e Uzbekistan, la maglieria arriva da Grecia e Turchia, mentre la giubbotteria dell’estremo Oriente.
E accanto al marchio Rifle, Pacific Trail, J Site (tutti di proprietà aziendale), nel portafoglio dei Fratini fanno irruzione le licenze di nuovi nomi decisamente più appetibili, come Calvin Klein, Cotton Belt e Guess, che minano sia il fascino che le vendite di Rifle.
Alla fine degli anni Novanta, in concomitanza con una profonda crisi che mette in serie difficoltà il brand, il 17 luglio del 2000 – tramite il decreto n. 28560 – viene approvato il programma di riorganizzazione aziendale di Rifle.
Più o meno parallelamente, gli eredi dei due fondatori si separano – da un lato il ramo di Giulio, dall’altro quello di Fiorenzo – sancendo pure un’evoluzione del core business aziendale, che per i Fratini diventano gli immobili, gli hotel e gli outlet.
Corrado e Marcello, figli di Fiorenzo, danno vita alla holding industriale Fingen: con le licenze in esclusiva di marchi del lusso e la costruzione e restauro di immobili mettono insieme un patrimonio che nel 2008 si aggira intorno a 1,3 miliardi di euro.
Tra i loro soci figura l’americana McArthur Glen, big mondiale degli outlet, con la quale costruiscono gli outlet di Serravalle Scrivia, il più grande d’Europa, nonché quelli di Barberino, di Castel Romano, di Noventa di Piave e Marcianise.
La Fingen acquisisce inoltre a Firenze Palazzo della Gherardesca, che diventa l’Hotel Four Season e Palazzo Tornabuoni; il Dorottya Palace a Budapest; la tenuta Argentiera, nel cuore della piccola ma prestigiosa Doc Bolgheri; il complesso residenziale Val di Luce, nell’Appennino tosco-emiliano, che comprende il Val di Luce Spa Resort e un residence di lusso.
Sandro e Cristina, figli di Giulio, prendono in mano Rifle, che veniva definita la “Fiat del Mugello” – il primo crea pure la catena alberghiera WTB (Why The Best Hotels), amministrata dalla moglie – ma non riescono a risollevarne le sorti.
Nei primi anni del Duemila il management dell’azienda tenta il rilancio attraverso l’apertura di punti vendita dedicati negli outlet; nel 2012 la società 34 milioni di euro, con sette milioni di perdita e un indebitamento salito fino a 15 milioni.
Si rende dunque necessaria la liquidazione e la creazione di una nuova azienda, la Rifle S.r.l.: Sandro Fratini recluta Antonio Arcaro,manager specializzato in salvataggi nel settore del tessile-abbigliamento, per «ripartire da zero con un cambiamento radicale e un nuovo approccio».
Viene raggiunto un accordo con i sindacati sugli esuberi e la nuova società, controllata sempre dalla famiglia Fratini, riassorbe il 50% del personale impiegato nella sede di Barberino (25 dipendenti su 48), più gli addetti dei negozi (25 punti vendita in Italia e 4 all’estero), per un totale di 152 persone.
L’accordo, operativo dal gennaio 2014, è accompagnato da un più che ovvio tentativo da parte dell’azienda di attirare nuovi capitali: via libera quindi a un restyling del logo in vista di un riposizionamento in un contesto più legato al mondo sportswear; a un allargamento della produzione a capsule di sneaker e altre tipologie di giubbotti e pantaloni; alla terza generazione dei Fratini, Giulio.
A settembre 2017 entra con il 44% nel capitale dell’azienda – che ha chiuso il 2016 fatturato 21 milioni di euro (in linea con l’anno precedente) realizzati per il 95% in Italia – Kora Investments Sa, una holding di partecipazioni svizzera.
Alla guida arriva Franco Marianelli, ex Guess Italia e Gas jeans, che con Giulio Fratini e la consulenza di Deloitte comincia a lavorare al nuovo piano industriale, con un focus sui mercati esteri (a partire dall’Europa) e sul web, oltre che sullo snellimento dei processi industriali e sullo stile.
Il 5 marzo 2018, a distanza di pochissimi mesi dal closing, Kora Investments Sa incrementa la sua partecipazione in Rifle portandosi al 55% e diventando così azionista di maggioranza.
La tanto sperata risalita purtroppo non riesce: la pandemia insieme al blocco dei mercati dà il colpo di grazia a una situazione da tempo compromessa, e il cerchio si chiude con la dichiarazione del fallimento dell’azienda da parte del tribunale di Firenze il 1° ottobre 2020.
Avanti veloce fino alla citatasvendita al pubblico: avverrà a primavera, da marzo in poi, in una data ancora da stabilire sulla base di quella che sarà l’evoluzione della pandemia da Covid-19 con le relative restrizioni a spostamenti e assembramenti.
Nelle prossime settimane sarà fatto l’inventario della merce stipata in magazzino, che verrà prezzata capo per capo: già in vendita, con aste telematiche bandite tra la fine di gennaio e l’11 febbraio, rivolte a grossisti e negozianti, ci sono due grossi lotti di capi d’abbigliamento rientrati dai tredici monomarca che Rifle aveva in tutta Italia, i cui dipendenti sono stati messi in mobilità.
Per il lotto da circa 50mila capi di abbigliamento c’è un’offerta da 115mila euro; per il secondo da 10mila e rotti capi la base d’asta è di 20mila euro: il prezzo è una media di 2,2 euro a capo, e costituisce la “tariffa” di riferimento a cui verranno venduti anche i singoli pezzi in offerta al dettaglio nel temporary outlet di prossima apertura.
Prima avverrà la vendita al dettaglio ai clienti che si presenteranno all’outlet di Barberino e che entreranno a turno nel negozio allestito per l’occasione, dopodiché avrà luogo una grande asta finale dell’invenduto.
Tra le due aste a blocchi e la grande vendita al dettaglio ci sarà la liquidazione, sempre all’asta, degli arredi degli uffici, scrivanie, sedie, Pc e tablet di impiegati e manager, persino lo smartphone in dotazione all’amministratore delegato; quattro auto aziendali sono state invece vendute dal curatore fallimentare.
L’avventura iniziata da Giulio e Fiorenzo Fratini, purtroppo, è ora definitivamente al capolinea.
Claudia Treves
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