4 barche su 10 non escono più, pesca in crisi
È sos pesce italiano con la flotta tricolore che negli ultimi 35 anni ha perso quasi il 40% delle imbarcazioni con un impatto devastante su economia e occupazione di un settore cardine del Made in Italy, ora ulteriormente aggravato dall’emergenza Covid.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti Impresapesca diffusa in occasione della Giornata del Mare che si è celebrato l’11 aprile per valorizzare l’oro blu come risorsa culturale, scientifica, ricreativa ed economica.
Gli effetti combinati dei cambiamenti climatici, delle importazioni selvagge di prodotto straniero e di una burocrazia sempre più asfissiante hanno ridotto il numero dei pescherecci italiani ad appena 12mila unità – denuncia Coldiretti – mettendo a rischio il futuro del comparto ma anche la salute dei cittadini poiché con la riduzione delle attività di pesca viene meno anche la possibilità di portare in tavola pesce Made in Italy, favorendo gli arrivi dall’estero di prodotti ittici che non hanno le stesse garanzie di sicurezza di quelle nazionali.
A peggiorare ulteriormente la situazione ha contribuito la pandemia con il crollo di oltre il 30% degli acquisti di pesce da parte della ristorazione dall’inizio dell’emergenza sanitaria, peraltro reso più pesante dalle chiusure di aprile.
Il risultato è un crack da 500 milioni di euro tra produzione invenduta, crollo dei prezzi e chiusura dei ristoranti.
Senza dimenticare l’aggravio di costi per garantire il rispetto delle misure di distanziamento e sicurezza a bordo delle imbarcazioni, con i pescatori che hanno continuato a uscire in mare per assicurare le forniture di pesce fresco ai consumatori.
Un calo che non è stato compensato dall’aumento degli acquisti domestici del 6,7%, secondo un’analisi Coldiretti su dati Ismea relativi all’anno 2020.
Ad essere premiati sono stati soprattutto i consumi di prodotto surgelato, cresciuti del 17,6% rispetto al +2,3% del pesce fresco, inferiore anche rispetto alle conserve (tonno ecc.) in salita del 5,8% e a quelli essiccati o affumicati, che guadagnano un +11,1%.
Peraltro proprio il prodotto surgelato è quello che dà minori garanzie rispetto all’origine, considerato che in 9 casi su 10 arriva dall’estero.
Alla difficoltà economiche aggravate dalla pandemia si aggiungono quelle legate alla drastica riduzione dell’attività di pesca imposte dalle normative europee e nazionali.
Le giornate di effettiva operatività a mare sono scese per alcuni segmenti di flotta a poco meno di 140 di media all’anno, rendendo non più sostenibile l’attività di pesca per una buona fetta della flotta nazionale considerata anche l’assenza di ammortizzatori e di valide politiche di mercato capaci di compensare le interruzioni.
Ma a pesare è anche l’impatto dei cambiamenti climatici che ha profondamente mutato la disponibilità di pescato.
Sono apparse nuove specie non comuni nel Mediterraneo e stanno diventando rare specie fino a ieri comuni nei nostri mari.
Pesci, come ad esempio le alacce o la lampuga, sino a qualche anno fa scarsamente presenti a certe latitudini, sono oggi diffusamente presenti nelle acque del centro-nord Adriatico e del Tirreno, mentre sono andate in sofferenza specie tradizionali come le sardine o le alici, messe in crisi dall’innalzamento delle temperature.
Il consumo pro capite degli italiani è di circa 28 kg di pesce all’anno, superiore alla media europea ma decisamente basso se confrontato con quello di altri Paesi che hanno un’estensione della costa simile, come ad esempio il Portogallo, dove se ne mangiano quasi 60 kg, praticamente il doppio.
Anselmo Faidit
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