Le bistecche sintetiche se le mangiassero loro
Gli interventi dei professori Luigi Costato e Giuseppe Bertoni (Georgofili INFO 31 marzo e 7 aprile 2021), per molti aspetti condivisibili, meritano due chiarimenti sui problemi peraltro complessi e connessi alle prospettive di arrivare ad una riduzione degli allevamenti per diminuire la produzione di metano e CO2, sostituendo la carne con prodotti di laboratorio contenenti proteine da cellule animali coltivate, le cosiddette “bistecche sintetiche”.
Un primo ordine di considerazioni è di tipo storico perché non è la prima volta che si pensa di produrre alimenti “sintetici”.
Il Milleottocento è il secolo che vede la nascita e lo sviluppo della chimica, quando Justus von Liebig (1803 – 1873) inventa l’estratto di carne e il farmacista Hippolyte Mège-Mouriès nel 1869 presenta a Napoleone III la margarina, e alla fine del secolo le previsioni sono che nessun oggetto più pesante dell’aria avrebbe solcato i cieli, nessun messaggio si sarebbe diffuso se non su dei fili e soprattutto che ci si sarebbe alimentati con pillole prodotte dalla chimica, ma la chimica non riesce a sostituire l’agrozootecnia.
Il Millenovecento è il secolo che vede lo sviluppo della microbiologia e soprattutto delle fermentazioni microbiche su scala industriale per la produzione di antibiotici e altre molecole, per cui non solo si prospettano, ma si iniziano a produrre proteine microbiologiche destinate all’alimentazione e per combattere la fame nel mondo, le Single Cell Protein (SCP).
Le SCP sono prodotte da batteri o da lieviti coltivati su substrati contenenti metanolo derivato dal metano o paraffine d’origine petrolifera e non hanno successo soprattutto perché non competitive con le proteine prodotte dalle leguminose, soprattutto dalla soia, che in modo molto economico, non inquinante e a costo energetico zero, sono capaci d’utilizzare l’azoto atmosferico, quindi sul campo della sostenibilità l’agrozootecnia vince su gli alimenti sintetici.
Il Duemila è il secolo della biologia cellulare e della coltivazione delle cellule animali per scopi farmaco-sanitari e per questo non ci si deve stupire si presenti la possibilità di produrre “bistecche sintetiche” con una nuova prospettiva: non più per combattere la fame, perché queste bistecche sono per i paesi ricchi, ma per contrastare il cambiamento climatico che sarebbe causato dagli allevamenti animali causa di deforestazione, inquinamento ambientale e produttori di gas serra.
A parte il fatto che anche nei paesi ricchi le proteine sintetiche sono destinate ai fast food e i veri ricchi, come nel passato, vorranno mangiare alimenti naturali,
anzi sempre più naturali, un’ampia produzione di “bistecche sintetiche” è sostenibile per essere una soluzione dell’inquinamento ambientale e dei cambiamenti climatici, come vorrebbero alcuni e tra questi Bill Gates ( è il 4° uomo più ricco della terra con un patrimonio: 124 miliardi di dollari, ndr)?
A quest’ultimo riguardo è necessario un secondo ordine di considerazioni che riguardano la quasi mai affrontata reale possibilità di successo di una produzione industriale di “bistecche sintetiche” in relazione al loro impatto ambientale e alla sostenibilità energetica nei confronti dell’agrozootecnia.
Oggi tutta la comunicazione sulla produzione di “bistecche sintetiche” si basa sulla idea che gli animali inquinano e che la fabbrica dei bioreattori e delle stampanti 3D non inquina, ma non è così.
Un confronto tra i due sistemi deve riguardare non solo la fase della produzione industriale finale dei bioreattori usati per la coltivazione cellulare, ma l’intera filiera produttiva, iniziando dai componenti dei liquidi di coltivazione cellulare fino alla lavorazione e trasformazione che portano al prodotto finale, considerando tutti gli aspetti di tipo energetico e di produzione di gas serra.
Anche in questo caso non si può ripetere l’errore che ancora oggi si continua s fare lasciando credere che un’automobile elettrica non inquina, senza considerare il consumo energetico e l’impatto ambientale della produzione e successivo smaltimento delle batterie, e soprattutto non considerando l’impatto ambientale dell’elettricità che alimenta l’auto, che può anche essere prodotta da una centrale alimentata a carbone, come ancor oggi avviene prevalentemente in Cina.
Indipendentemente dalla diffidenza che la popolazione di tutto il mondo ha verso gli alimenti industriali seguitando ad amare quelli naturali, alla fine del Millenovecento si è visto che una produzione industriale
delle proteine d’origine microbiologica (SCP) non era economicamente sostenibile di fronte a quelle delle coltivazioni vegetali.
Oggi non abbiamo chiari e sicuri elementi per valutare la sostenibilità energetica e ambientale di una produzione industriale su vasta scala di cellule destinate a creare “bistecche sintetiche”, considerando tutta la filiera produttiva, anche per i substrati di coltivazione cellulare.
Per questo, considerando in modo corretto l’economicità e la sostenibilità, possiamo ritenere che nel presente secolo una buona agrozootecnia soprattutto di precisione, applicata a tutte le fasi dell’allevamento, dall’alimentazione degli animali al trattamento delle loro deiezioni, possa ancora avere molte possibilità di vincere la sfida di una produzione industriale delle “bistecche sintetiche”.
Giovanni Ballarini presidente nazionale della Accademia Italiana della Cucina
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