Per cultura e per tradizione la qualità innanzitutto
Ogniqualvolta ci si trova in alcune province del bel Paese, ove persino le zolle più insignificanti parlano di storia, bisogna partire da lontano.
Bisogna partire da alcuni secoli avanti la nascita di Gesù Cristo al periodo in cui i primi marinai greci sbarcarono sulle coste joniche a seguito della guerra di Troia, ossia al 1250 a.C. se ne innamorano così tanto che iniziò un pendolarismo che dette luogo alla Magna Grecia.
Ed è durante questi viaggi che i coloni insieme ad altre mercanzie depositano nella stiva alcune barbatelle che attecchiscono facilmente sulle zolle delle fertili campagne posizionate al di sotto del Tevere.
Una delle capitali di questa ricchezza è quella fascia costiera calabra compresa tra Torre Melissa e Cirò Marina ove sono coltivati poco meno di 2.000 ettari di vigneto Doc che producono circa 180.000 quintali di bacche bianche e bacche nere.
Questi vigneti sono talmente rinomati che con DPR del 2 aprile 1969 viene approvato il disciplinare che certifica la Denominazione di Origine Controllata del Cirò rosso, rosato e bianco.
Il Cirò DOC è uno dei primi vini italiani ad ottenere tale riconoscimento.
Tra le aziende che hanno contributo a diffondere in Italia, nel vecchio continente e oltre Oceano il nettare cirotano in prima fila si posiziona la Baroni Capoano.
Si deve alla passione e alla dedizione di Raffaele Capoano la nascita dell’azienda agricola come pure all’amore per la propria terra che non è mai venuto meno visto che a lungo ha lavorato a Roma come chirurgo presso il Policlinico Umberto I senza mai recidere il cordone ombelicale con il suolo natio.
Poi arriva il giorno in cui la brezza dello Jonio prevale sulla quotidianità caotica della metropoli per cui rifà il viaggio in senso inverso ed acquista, con lungimiranza, una porzione di collina che si rispecchia su Cirò Marina e sulle onde del Golfo di Taranto.
In pochissimi lustri la Baroni Capoano ha tagliato traguardi che altre aziende necessitano di generazioni per tagliarli, ora siamo alla seconda generazione ed il timone è passato nelle mani di Massimiliano.
Facendo tesoro degli insegnamenti ricevuti non ha tradito la volontà paterna ed ha proseguito imperturbabile sulla strada della qualità di ciò ne hanno preso atto le numerose giurie di premi ai quali l’azienda partecipa ed il palmares lievita vendemmia dopo vendemmia.
“Fa parte della cultura e della tradizione familiare quella di perseguire e privilegiare sempre e comunque la qualità, se a ciò sommiamo la nobiltà di un territorio ricco di storia e peculiarità secolari allora potrebbe divenire una sorta di abiura deludere il casato e l’habitat che ci circonda.
Le nostre vigne meritano rispetto, professionalità e affetto”.
20 ettari di filari si traducono in qualcosa come 200.000 bottiglie DOC.
“Utilizziamo le procedure e le tecniche del passato, ogni grappolo viene quasi accarezzato prima di essere depositato nella cesta. Sin dal primo giorno abbiamo seguito anche le indicazioni del biologico e proseguiamo con tali accorgimenti e non vi è intenzione alcuna di modificarli”.
Da un paio di stagioni in vigna e in cantina siete seguiti da un enologo esperto e preparato che ha dedicato la sua vita allo studio e alla pratica delle bacche e del nettare.
“Fabio Mecca ci segue dal 2018 e mi preme rammentare che sin dal primo giorno si è instaurato un rapporto di estrema fiducia e cordialità che ha prodotto benefici per tutti. Ci segue con passione e dedizione nei momenti cruciali della lavorazione in vigna ed in cantina. Ci riteniamo ampiamente soddisfatti e siamo convinti vi siano ancora margini di miglioramento e di gratifiche”.
La pandemia ha costretto numerose aziende a rallentare e a rivedere i programmi.
“È sufficiente considerare che il 90percento delle nostre etichette è destinato all’HoReCa e conosciamo perfettamente la crisi che ha subito il comparto del turismo, dell’hotellerie, della ristorazione e del catering. Un crollo verticale terrificante che ha costretto alla chiusura diverse attività, introiti che parzialmente sono stati compensati dalla vendita tramite e-commerce, ovviamente abbiamo sopperito anche con altre iniziative che sono servite per arginare il grosso delle perdite. Non ci siamo smarriti, anche perché siamo abituati agli scossoni, e abbiamo delle ottime energie reattive. Supereremo pure questa tempesta e ne usciremo più forti di prima”.
Una decelerazione altresì dall’export.
“Una serie di coincidenze sfavorevoli ci hanno penalizzato nel momento in cui dovevamo cogliere i frutti di mesi di lavoro e di programmazione. La Brexit prima e la pandemia poi hanno ridimensionato le nostre aspirazioni, ciò deve divenire uno stimolo per recuperare il più rapidamente possibile le mancate esportazioni verso quei mercati che per noi rappresentano cifre importanti quali Giappone, Stati Uniti, Europa centrosettentrionale ed in parte verso la Cina”.
Dopo un anno di stop sono in procinto di ripartire le fiere e le manifestazioni internazionali.
“Per noi Dusseldorf con il ProWein e Verona con il Vinitaly rappresentano tappe irrinunciabili alle quali non possiamo mancare, sono un trampolino di lancio per quelle aziende vogliose di crescere e di aggredire nuovi mercati esteri. La smania di ripartire è rilevante, specie perché sappiamo bene cosa rappresenta per l’economia italiana l’agricoltura ed il comparto enologico in particolare. Non vogliamo farci cogliere impreparati il giorno in cui usciremo dal tunnel delle contumelie e degli scongiuri”.
Croisons les doigts, come preferiscono esternare dalle parti di Bordeaux.
bruno galante
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