18 miliardi di contributi a fondo perduto col Sostegni bis
Col nuovo decreto Sostegni, la cui approvazione, si spera, avverrà entro la prossima settimana, il Governo Draghi dovrebbe erogare 18 miliardi di contributi a fondo perduto alle aziende e alle partite Iva in difficoltà economica.
Questo importo andrà ad aggiungersi ai 27 miliardi di sussidi fino ad ora versati alle imprese in questi 14 mesi di pandemia.
A fronte di un crollo del fatturato del nostro sistema economico che nel 2020 è stato pari a 350 miliardi di euro, con questi 45 miliardi di indennizzi verrebbe coperto il 13% circa delle perdite totali: praticamente un’inezia.
A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Ricordando che lo scostamento di bilancio di 40 miliardi di euro è stato votato dal Parlamento il 22 aprile scorso, corriamo il pericolo che questi 18 miliardi di indennizzi arrivino in ritardo.
Mai come in questo momento, infatti, la tempestività nell’erogazione degli aiuti è decisiva per dare un po’ di ossigeno a chi si trova in difficoltà.
Se nelle ultime settimane le proteste di piazza si sono affievolite, lo stato di crisi in cui versano molte filiere economiche è ulteriormente peggiorato.
Infatti, sono centinaia e centinaia di migliaia le imprese che sono ancora completamente chiuse o semi-chiuse.
Appare comunque evidente che rispetto al Governo precedente c’è stato il tanto atteso cambio di passo.
Ancorché insufficiente, la misura di sostegno alle imprese che verrà approvata la settimana prossima ha una dimensione economica importante, mai raggiunta in precedenza.
L’obiezione che spesso viene rivolta da molti commentatori contro la decisione del governo di erogare dei sussidi è che in questo modo dissipiamo soldi pubblici, contribuendo ad aumentare il debito a dismisura.
Una tesi legittima che, però, non coglie nel suo insieme la ragionevolezza degli effetti di queste misure.
È evidente che queste ulteriori uscite correnti contribuiscono ad aumentare il debito pubblico del nostro Paese, ma è altrettanto vero che se non salviamo le imprese e i posti di lavoro, non poniamo le basi per far ripartire la crescita economica che rimane l’unica possibilità in grado di ridurre nei prossimi anni la mole di debito pubblico che abbiamo spaventosamente accumulato con questa crisi.
Pertanto, mettere in salvo le micro e piccole imprese italiane vuol dire salvaguardare una fetta importante dell’economia del nostro Paese. I numeri sono eloquenti.
Al netto dei dipendenti del pubblico impiego, le attività con meno di 20 addetti costituiscono il 98% delle imprese presenti nel Paese e danno lavoro alla maggioranza degli italiani, vale a dire al 54,6% degli occupati.
Inoltre, queste micro realtà producono il 37% del valore aggiunto nazionale annuo, score non riscontrabile in nessun altro grande Paese dell’Unione europea.
L’Ufficio studi della CGIA è comunque fiducioso che le risorse messe a disposizione alle imprese e al popolo delle partite Iva con il decreto
Sostegni bis non saranno le ultime. In primo luogo perché fino ad ora lo stock complessivo degli indennizzi diretti ha consentito di coprire mediamente solo il 13 per cento delle perdite del sistema produttivo italiano.
In secondo luogo perché le dichiarazioni rilasciate verso la fine dello scorso mese di marzo sia dal premier, Mario Draghi, sia del ministro, Daniele Franco, sono state molto rassicuranti.
Il Presidente del Consiglio ha avuto modo di sottolineare che quest’anno “è necessario accompagnare le imprese e i lavoratori nel percorso di uscita dalla pandemia, questo è un anno in cui non si chiedono soldi, si danno soldi”.
Il ministro dell’Economia ha dichiarato che “mi aspetto di terminare con le misure di sostegno all’economia verso la fine dell’anno”.
Per evitare che i sostegni futuri vengano utilizzati dalle imprese in buona parte per pagare le imposte, è necessario “imporre” l’azzeramento delle tasse erariali, consentendo alle partite Iva e alle piccole imprese di risparmiare quest’anno attorno 28 miliardi di euro.
Uno sgravio che avrebbe delle dimensioni importanti che, ovviamente, potrebbe essere ridimensionato consentendo l’azzeramento del peso fiscale solo alle attività con ricavi al di sotto di una certa soglia o sulla base della perdita di fatturato.
Questo mancato gettito di 28 miliardi è stato stimato ipotizzando di consentire a tutte le attività economiche con un fatturato 2019 al di sotto del milione di euro di non versare per l’anno in corso l’Irpef, l’Ires e l’Imu sui capannoni.
Queste aziende, che ammontano a circa 4,9 milioni di unità (pari all’89% circa del totale nazionale), dovrebbero comunque versare le tasse locali, in modo tale da non arrecare problemi di liquidità ai sindaci e ai presidenti di regione.
Alleggeriti dal peso di un fisco spesso ingiusto, per un anno vivrebbero con meno ansia, meno stress e più serenità.
Non solo, ma con 28 miliardi risparmiati metteremo le basi per far ripartire l’economia del Paese.
Arnaud Daniels
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