Aumenta il costo del lavoro e va a 29,1 euro all’ora
L’andamento del costo del lavoro in Italia ha subito un balzo deciso nel 2020. È paradossale. Nell’anno più nero per l’economia dal Dopoguerra è cresciuto dai 27,9 euro l’ora del 2019 a 29,1.
Almeno nel settore privato. Intanto, chiariamo in parole semplici che cosa si intende per costo del lavoro: è il costo a carico del datore di lavoro.
Si deve, quindi, considerare i contributi, le tasse e altre voce più piccole oltre allo stipendio vero e proprio.
Il dato è solo apparentemente inspiegabile.
Considerando che Eurostat non considera occupazione i periodi molto prolungati di cassa integrazione e osservando come siano stati soprattutto i lavoratori dei settori più fragili, è facile capire come la porzione di forza lavoro rimasta ad alimentare queste statistiche sia quella con remunerazioni migliori.
Da qui il balzo. L’andamento del costo del lavoro in realtà in tempi normali era stato molto più lento e più in linea con la ridotta crescita del Pil dell’Italia, a sua volta collegato alla produttività del lavoro stagnante che da tempo, da molto prima della pandemia lo caratterizzava.
I 27,9 euro all’ora del 2019 erano il risultato di un incremento di 0,6 euro rispetto al 2018, quando i lavoratori erano mediamente pagati 27,3 euro all’ora.
Tra il 2012 e il 2017 gli aumenti erano stati ancora più ridotti, il costo del lavoro orario in 5 anni era cresciuto solo di 0,2 euro, passando da 26,6 a 26,8.
C’era stato oltre all’effetto della crisi anche quello di alcuni sgravi e decontribuzioni che avevano interessato quella parte del costo del lavoro costituito da imposte.
Nel complesso in Italia rispetto al 2008, l’ultimo anno precedente alla grande crisi finanziaria, l’incremento del costo dei lavoratori è stato del 18,8%, inferiore a quello medio europeo, del 30,6%.
Nonostante l’aumento del 2020, che tra l’altro ha interessato più l’Italia che altri Paesi, l’andamento del costo del lavoro è stato decisamente meno positivo che altrove.
Tipicamente sono stati i Paesi dell’Est, quelli che partivano da livelli di reddito e anche di stipendi più bassi, e che hanno visto crescite del Pil molto superiori alla media europea, ad avere anche incrementi del costo del lavoro più alti.
In Bulgaria è stato addirittura del 156%, in Romania, Slovacchia, Lettonia superiore all’80%, in Lituania del 68,3%, in Cechia del 50,5%, in Polonia e Slovenia del 41,3% e del 45,5%.
Nonostante ciò in questi Paesi il costo dei dipendenti rimane ancora inferiore alla media, anche se meno di un tempo.
È invece la Danimarca il Paese in cui il costo del lavoro è maggiore, con 46,9 euro all’ora, seguita da Lussemburgo, Belgio, Svezia.
Al quarto posto con 38,1 c’è la Francia. In Germania i lavoratori costano mediamente 36,7 euro ogni ora, con un aumento rispetto al 2008 del 29,2%.
L’Italia è all’undicesimo posto, davanti alla Spagna, dove il costo del lavoro è di 22,2 euro all’ora, decisamente inferiore al nostro. Non solo per gli stipendi più bassi, ma anche per la minore tassazione.
L’andamento del costo del lavoro è infatti determinato anche dalle imposte, le tasse sui redditi che gravano sui lavoratori e sui datori di lavoro e i contributi.
Nel 2020 l’Italia era terza in Europa quanto a percentuale del costo del lavoro riconducibile alla tassazione, il 28,9%.
Solo in Svezia e Francia le tasse sul lavoro sono più alte, arrivando rispettivamente al 31,8% e al 30,8%.
In Spagna si scende un poco, al 27,1%, la Germania con il 21% è sotto la media europea, mentre in Irlanda la porzione di salario formata dalle imposte è solo dell’8,1%.
Sotto il valore europeo del 24% anche gran parte dei Paesi dell’Est, i Paesi Bassi, la Danimarca.
Si tratta di un dato che avrà il suo peso nella ripresa dalla crisi nei prossimi anni.
Quando sarà il momento di attirare investimenti esteri oltre che quelli pubblici del Next Generation Eu.
I dati si riferiscono al: 2020
Piero Vernigo
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