Le banche continuano a chiudere sportelli
A Castel Ritaldi, paesino di poco più di 3mila abitanti in provincia di Perugia, tra 15 giorni chiuderà l’ultima filiale bancaria rimasta, quella del Banco di Desio.
Mentre a Costacciaro, comune della stessa provincia che sorge sulle pendici del Monte Cucco e conta poco più di mille abitanti, era restato un unico sportello di Banca Etruria, dove lavoravano due donne che, pur di mantenere in vita la filiale, avevano accettato contratti part-time.
Poi la banca alla fine del 2015 è finita in dissesto, la parte “buona” è passata a Ubi e il nuovo gruppo proprietario (dall’anno scorso entrato nell’orbita del gruppo Intesa Sanpaolo) ha deciso di abbassare le serrande.
Adesso, per chi vive a Costacciaro, la filiale più vicina è una ex Ubi ora Intesa Sanpaolo che si trova a sei chilometri di distanza.
Non si tratta di spostamenti da poco, se si considera che buona parte degli abitanti è anziana e che i servizi di trasporto pubblico sono carenti se non proprio inesistenti, per non parlare della debolezza delle connessioni a internet.
Continua la debancarizzazione del territorio, dal 2018 al 2019 si sono già perse 24 filiali, 18 nella provincia di Perugia e sei nella provincia di Terni, con la conseguente perdita di oltre 400 posti di lavoro, ma soprattutto si sono impoverite le piccole comunità.
Soprattutto chi occuperà quel vuoto che si crea ormai in troppi Comuni della Regione dalle scelte di banche che a parole si definiscono del territorio?
A oggi i dati sull’usura e sulla predazione finanziaria non fanno dormire sonni tranquilli.
Serve da parte delle banche l’attenzione reale alla responsabilità sociale verso i territori, non si può guardare solo e di continuo verso il profitto e gli utili di bilancio.
Durante la pandemia hanno detto che il servizio pubblico bancario è essenziale, perciò le banche sono rimaste aperte, ma questo come si coniuga con la decisione di lasciare dei comuni, in queste situazioni, completamente senza sportelli?
Anche i dati nazionali raccontano la continua chiusura degli sportelli bancari.
Secondo i numeri del Centro studi Orietta Guerra, del sindacato della Uilca, nell’ultimo decennio l’Italia ha assistito a una riduzione del 27,4% delle filiali, rispetto al -6,8% della Francia, al -29,3% della Germania e al -40,1% della Spagna.
La flessione del numero di sportelli, secondo lo stesso studio, va ricondotta principalmente a due fattori: le aggregazioni bancarie e la digitalizzazione.
Bisogna valutare ogni singolo aspetto della fusione bancaria.
Se da una parte una fusione può rafforzare il capitale delle banche, dall’altra deve integrarsi nella Capital Market Union, il progetto voluto dalle istituzioni europee dove il ruolo del risparmio, le tutele dalla concorrenza, la nascita di soggetti alternativi per erogare credito e finanziare imprese, soprattutto pmi, sono finalizzati a facilitare il finanziamento a imprese e persone.
Non è possibile, soprattutto in Italia dove nei prossimi anni si spenderanno 248 miliardi grazie anche al Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per modernizzare il Paese, migliorare le infrastrutture, anche digitali, e attuare la transizione energetica, pensare che il sistema bancario resti lo stesso o che si possa continuare a chiudere sportelli e sedi solo per ridurre i costi.
Tutte considerazioni che vanno inserite nell’attuale contesto, in cui è in arrivo una nuova tornata di fusioni e acquisizioni, con probabile conseguente impatto sull’occupazione.
Nel contempo, continua il processo di cambiamento della figura dello stesso bancario.
Come evidenziava Angelo Baglioni, docente dell’università Cattolica e direttore dell’Osservatorio monetario, in uno stuidio del 2019 il mondo del lavoro nel settore del credito sta cambiando rapidamente: ci saranno sempre meno bancari tradizionali come gli operatori alla cassa o allo sportello, ci saranno sempre più consulenti, promotori finanziari, persone specializzate nelle nuove tecnologie.
I contratti diventeranno sempre più flessibili con meno lavoratori dipendenti e più autonomi e liberi professionisti.
E la pandemia, arrivata all’inizio del 2020, potrebbe avere accelerato questa tendenza.
Secondo i dati del Centro studi Orietta Guerra, dal 2009 al 2019, il numero di dipendenti bancari in Italia è sceso del 13,4%, passando da 323.407 a 280.219 lavoratori.
Vi è una forte preoccupazione per la progressiva diminuzione dei posti di lavoro e per la forzata mobilità a cui saranno sottoposti i dipendenti, spesso umiliando un patrimonio di risorse professionali.
La desertificazione del territorio che probabilmente proseguirà con ulteriori chiusure di filiali è un tema che dovrebbe interessare anche le Istituzioni, le Associazioni di categoria, e ovviamente i cittadini, perché nell’immediato si mette a rischio la sopravvivenza del sistema bancario, ma in futuro è a repentaglio il livello dell’offerta alla clientela.
Arnaud Daniels
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