Una delle peggiori burocrazie al mondo si trova in Italia
La parola chiave dei Recovery Plan di tutti i Paesi europei è riforme.
Un punto su cui l’Europa ha insistito dal primo momento.
Quelle previste dal Piano nazionale ripresa e resilienza appena approvato da Camera e Senato riguardano Pubblica amministrazione, giustizia, transizione ecologica, digitalizzazione, scuola, semplificazioni della burocrazia, concorrenza e fisco.
Draghi ha parlato di una piano che deciderà non solo chi siamo, ma anche chi saremo e quale Paese lasceremo ai nostri figli.
Bene, ma tra tutte queste riforme una su tutte sarà fondamentale non solo per il sistema Paese, bensì per la realizzazione di tutto il Pnrr.
La riforma della Pubblica amministrazione, infatti, è lo scheletro che dovrà sostenere e ponderare l’enorme quantità di soldi – il premier ha parlato di 248 miliardi – provenienti dall’Europa.
Ecco perché Bruxelles l’ha posta come riforma obbligatoria.
Ma l’Italia parte come una delle più sfavorite.
La nostra Pubblica amministrazione, infatti, è una delle peggiori tra i Paesi Ocse, siamo 33esimi su 36 Paesi.
Come anticipato i numeri italiani sono pessimi.
Le valutazioni sulla qualità della burocrazia nella comparazione internazionale, ricavati dal Quality of Government Index dell’Università di Göteborg sono molto chiare.
Ma di che cosa si tratta?
Stiamo parlando di un indicatore composto da tre pilastri: il livello di corruzione, le caratteristiche della legislazione unitamente all’osservanza della legge e la qualità della burocrazia in senso stretto.
Un indice, quindi, che non tiene conto solo delle singole procedure burocratiche, ma valuta anche i loro effetti sui comportamenti e sulle performance sia dei cittadini che dei legislatori.
L’Italia è passata dalla 20esima posizione del 2000 – comunque sotto la media – agli ultimi posti della classifica nel 2019. Meglio di noi tutta Europa e, soprattutto, i Paesi del Nord Europa che occupano tutti e tre i gradini del podio. Germania, (13a su 36) Regno Unito e Belgio hanno un punteggio superiore allo 0,8, mentre Francia, (20a su 36) Portogallo e Spagna allo 0,7. L’Italia, sui tre parametri, ha un punteggio di 0,597.
Certamente tutto questo questo ha a che fare con i ritardi del nostro Paese sull’innovazione tecnologica e sul capitale umano della PA, con inevitabili ricadute negative sulle performance della burocrazia.
Ma non si può non parlare delle ripercussioni economiche causate da una tale inefficienza.
Basti pensare che, secondo un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio, se l’Italia avesse la stessa qualità amministrativa della Germania, tra il 2009 e il 2018 la crescita cumulata sarebbe stata del 6,2% invece che del 2,3%.
Il Prodotto interno lordo, inoltre, sarebbe più elevato di 70 miliardi di euro. Numeri che fanno riflettere dopo le ultime previsioni del Mef sul Pil e sul debito italiano dei prossimi anni.
Insomma, la cattiva burocrazia frena la produttività delle imprese e ne ostacola la crescita.
Ecco perché tra le riforme che da subito si è discusso con l’arrivo di Draghi troviamo proprio quella della Pubblica amministrazione.
Il ministro Brunetta sta lavorando ai punti che costituiranno la riforma che potrà contare su 1,67 miliardi e che potremmo così sintetizzare: prima di tutto un focus sui concorsi e le assunzioni, con la creazione di una piattaforma unica e un Hr Management Toolkit; poi un snellimento generale della macchina, con l’obiettivo finale di eliminare i vincoli burocratici e rendere più efficace l’azione amministrativa; a seguire la creazione di percorsi seri e strutturali di qualificazione e riqualificazione del personale; in ultimo, ma non meno importante, la digitalizzazione quale strumento trasversale per meglio realizzare queste riforme.
Quest’ultimo punto, è da precisare, non rientra nei 1,67 miliardi perché gode di una voce a parte che ammonta a 50,07 miliardi.
I dati sono aggiornati al: 2019 Fonte: Ocse, Mef, Confcommercio
Raimondo Adimaro
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