La Russia si impossessa dello “champagne”
Vladimir Putin ha dichiarato guerra allo champagne francese con il varo di una legge che penalizza lo status symbol terminologico della bevanda più nota al mondo.
Il presidente russo ha aperto le ostilità con la firma di una legge in base alla quale lo champagne esportato nella Federazione russa non potrà più chiamarsi così ma dovrà accontentarsi della denominazione di “spumante”.
Il brand classico delle bollicine francesi sarà invece riservato a quelle prodotte in Russia.
Puntuale la risposta di Parigi che ha decretato lo stop alle esportazioni in Russia di Moet & Chandon, Veuve Cliquot e Dom Perignon.
Oltre alla questione di principio, ci sarebbe un iter burocratico tutt’altro che semplice e che richiederebbe tra l’altro la ricertificazione delle bevande e una nuova etichettatura.
Il termine champagne, infatti, oltre ad essere un brand identitario per i francesi, è una denominazione d’origine protetta che fa riferimento alla provenienza: la regione dello Champagne.
Il presidente dell’Unione viticoltori russi Leonid Popovich minimizza.
In una dichiarazione rilasciata a Sputnik ha affermato che su una ventina di importatori di champagne in Russia, solo Moet-Hennessy ha espresso la sua “indignazione” sulla nuova legge.
Popovich stima che la quota di mercato detenuta dal marchio francese sia solo il 2% del totale delle importazioni di bollicine in Russia.
Di opinione diversa Anna Chernyshova, consulente nel mercato dei vini, che alla France Presse ha confessato come il suo telefono non smetti di suonare e che i suoi clienti cerchino di “capire che cosa possono fare”.
Ad uscire vincitore da questa guerra delle bollicine tra Mosca e Parigi potrebbe essere il Made in Italy.
Secondo i numeri della Coldiretti il primo trimestre del 2021 ha segnato un aumento record del 37% nelle esportazioni di spumante italiano in Russia rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Nel paese di Putin sono state stappate 25 milioni di bottiglie di spumante. Particolarmente apprezzati il Prosecco e l’Asti.
Raimondo Adimaro
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