29 anni fa la strage di Via D’Amelio una ferita ancora aperta
Il 19 luglio 1992 veniva assassinato Paolo Borsellino.
Meno di due mesi dopo l’omicidio di Giovanni Falcone, un altro eroe cadeva per il bene superiore di una Nazione dimenticata da tutti e vittima di sciacalli e ingordi.
Paolo Borsellino nasceva a Palermo il 19 gennaio 1940, nel quartiere Kalsa, dove giovanissimo conobbe Giovanni Falcone.
Si iscrisse al Liceo classico e nel 1958 alla facoltà di Giurisprudenza del capoluogo: si sarebbe laureato qualche anno dopo con il massimo dei voti, con una tesi dal titolo Il fine dell’azione delittuosa (relatore il professor Giovanni Musotto).
Il padre, farmacista, morì pochi giorni dopo. Borsellino tenne “viva” l’attività familiare fino alla laurea della sorella Rita: fu un periodo di grandi sacrifici per la famiglia, al punto che Paolo ottenne l’esonero dal servizio di leva in quanto “unico sostentamento” del nucleo.
Vicino a organizzazioni politiche di destra (Fronte Universitario d’Azione Nazionale), divenne magistrato negli anni Sessanta, e nel 1968 sposò Agnese Piraino Leto, figlia del giudice Angelo Leto, presidente del tribunale di Palermo.
Ha avuto tre figli: Lucia, Manfredi e Fiammetta.
Paolo Borsellino è stato uno degli indiscussi protagonisti del pool antimafia che, da indicazione di Rocco Chinnici e su “realizzazione” di Antonino Caponnetto.
Chinnici, infatti, non poté attuare personalmente la sua idea, assassinato dalla mafia nel 1983. Il pool avrebbe imbastito, negli anni Ottanta, la più efficace lotta a Cosa Nostra mai vista in Italia dai tempi del “prefetto di ferro” Cesare Mori.
Ne facevano parte, oltre a Borsellino, Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta.
Lo scopo del pool – circostanza testimoniata dallo stesso Paolo Borsellino – era quello di risolvere un problema: i giudici istruttori lavoravano individualmente e non c’era alcun coordinamento tra di loro, tanto meno alcuno scambio di informazioni, anche tra colleghi che si occupavano degli stessi casi.
Radunarli era, di conseguenza, una buona soluzione per garantire una maggiore efficacia nell’esercizio dell’azione penale.
D’altronde uno dei primi esempi di coordinamento avvenne proprio tra Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello: il secondo otteneva dal primo una data documentazione prodotta, e dopo averla esaminata gliela rendeva la mattina successiva.
In questo modo la capacità dei giudici di “seguire” i movimenti mafiosi aumentò notevolmente. Le indagini del pool si concentrarono sul denaro: accertamenti bancari, questioni patrimoniali.
È di quel periodo la svolta principale: Giovanni Falcone tiene i suoi primi colloqui con Tommaso Buscetta, che descrive nel dettaglio la struttura della cupola mafiosa. Le sue dichiarazioni, il 29 settembre 1984, generano 366 ordini di cattura.
Il mese dopo un altro collaboratore, Salvatore Contorno, racconta dettagli utili per altri 127 arresti.
Un’onda che produrrà la conseguenza storicamente più rilevante.
Il Maxiprocesso di Palermo che, nel dicembre del 1987, emise 346 condanne e 114 assoluzioni, per un totale 19 ergastoli e pene detentive di 2665 anni di reclusione.
In molti hanno dubitato della mano mafiosa per quel che riguarda la strage di Via D’Amelio.
In particolare, desta perplessità l’idea che Totò Riina avesse deciso di eliminare anche Paolo Borsellino appena 57 giorni dopo la strage di Capaci che aveva ucciso Giovanni Falcone.
Borsellino, così come Falcone, è dalla morte ostaggio di una cultura politica che se ne dichiara erede tradendo ogni suo insegnamento.
Quell’antimafia “di sinistra” che parla di legalizzazione di droghe e di abolizione del 41bis ma poi, tronfia, esibisce la solita foto dei due eroi italiani.
Un problema enorme anche solo nel ricordo di due personaggi così importanti per il bene supremo dell’Italia e della collettività.
Piero Vernigo
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