Ma il salmone dobbiamo considerarlo ancora un pesce?
Se noi siamo quello che mangiamo, come sosteneva Ludwig Andreas Feuerbach (1804 – 1872), lo stesso avviene per gli animali e Pellegrino Artusi (1820 – 1911) nel suo classico ricettario La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene (1891) dice che “la folaga si potrebbe chiamare uccello-pesce, visto che anche la Chiesa permette di cibarsene nei giorni magri senza infrangere il precetto”, non solo perché uccello che vive fuori dall’arca di Noè, ma soprattutto perché si nutre di pesce e da questo le sue carni e soprattutto i suoi grassi assumono sapore e aroma.
Come dobbiamo oggi considerare il salmone dell’atlantico (Salmo salar) quando da predatore che in mare si ciba di pesci, crostacei e cefalopodi diviene un animale allevato e nutrito in prevalenza con cibi terrestri che modificano soprattutto i grassi di cui diviene ricco?
Con l’aumento della popolazione mondiale e della domanda di prodotti ittici, soprattutto di pesce, sempre maggiore è la percentuale di quelli allevati con diete nelle quali vi sono elevate percentuali di alimenti non più marini, ma terrestri.
Per quanto riguarda i salmoni che arrivano sulle nostre tavole oggi la maggior parte è allevata in gabbie con alimentazioni nelle quali gli ingredienti tradizionali, dalla farina di pesce all’olio di pesce, sono sostituiti da proteine di cereali e oli vegetali di origine terrestre, privi di acidi grassi omega-3 a catena lunga, acidi eicosapentaenoici (EPA) e docosaesaenoici (DHA).
Di conseguenza, il salmone selvaggio vissuto in mare ha una composizione diversa da quella del salmone allevato, soprattutto per il contenuto e la qualità del grasso che deriva dal tipo di alimentazione e dal modo di vita degli animali, perché i salmoni selvaggi nuotano intensamente, mentre quelli allevati fanno poco movimento nelle gabbie dove sono confinati.
Il salmone selvatico ha un contenuto che per etto e in media non supera i circa sei grammi di grasso, costituito in piccola parte di grassi saturi (meno di un grammo) e per il resto di grassi monoinsaturi e polinsaturi (circa in parti uguali).
Il salmone allevato ha dalle due alle tre volte più grasso (oltre i quattordici grammi per etto) costituito in media da un terzo di grassi saturi, un terzo di grassi monoinsaturi e un terzo di grassi polinsaturi.
Inoltre il salmone selvaggio ha una percentuale di omega 3 più alta se espressa sul tenore dei grassi totali, mentre i salmoni allevati hanno minori quantità di acidi grassi omega-3 a catena lunga, acidi eicosapentaenoici (EPA) e docosaesaenoici (DHA).
Come per i polli dove vi sono quelli ruspanti e quelli di batteria, con diversa qualità e prezzo, lo stesso è per i salmoni selvaggi e allevati.
Questi ultimi che non hanno più un’alimentazione completamente da pesce ma sempre più da animale di terra e di fronte a queste differenze i consumatori possono trovarsi sconcertati e incerti nelle scelte.
Sotto l’aspetto nutrizionale, se tradizionalmente i nutrizionisti consigliavano diete con almeno una porzione di pesce (130 grammi) di salmone selvaggio alla settimana, ora e soprattutto con i salmoni allevati bisogna raddoppiare le quantità (Sprague M., Dick J.R., Tocher D.R. – Impact of sustainable feeds on omega-3 long-chain fatty acid levels in farmed Atlantic salmon 2006–2015 – Sci. Rep. 22 febbraio 2016).
Sulla possibilità di distinguere i salmoni selvaggi da quelli allevati, oltre alle indicazioni fornite dal venditore, è necessario controllare l’aspetto e la consistenza del corpo perché il salmone d’allevamento, alimentato con diete ricche di grassi per avere una crescita ottimale risparmiando le proteine, è più grasso e questo lo si vede in strie chiare.
Inoltre il salmone grasso ha una consistenza più morbida e schiacciandolo con un dito l’impronta si mantiene.
Il prezzo dei salmoni è molto variabile e muta con la specie, se fresco, surgelato, affumicato e in che modo.
In linea di massima il costo del salmone selvaggio dipende dalla specie in una fascia di prezzo che può andare dagli 80 ai 300 €/kg, mediamente il doppio o il triplo rispetto a quello di una confezione di salmone affumicato di allevamento.
Quest’ultimo ha un prezzo attorno a 60 €/Kg, con minimi che per le più qualità inferiori possono arrivare a 35 – 20 €/Kg. Anche la stagionalità della pesca e il periodo dell’anno influiscono sul prezzo.
La varietà di salmoni sul mercato è molto estesa e diversificata con prezzi soprattutto molto diversi che permettono a ciascuno di trovare un prodotto adatto all’uso che se ne vuole fare in cucina o sulla tavola, al proprio gusto e alle proprie tasche. In ogni caso non bisogna solo guardare al prezzo, ma è sempre necessario leggere bene l’etichetta, esaminare l’aspetto visivo e per quanto possibile anche quello tattile, per distinguere i diversi livelli di qualità del salmone, facendo quindi scelte consapevoli.
Giovanni Ballarini presidente nazionale Accademia Italiana della Cucina
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