Italia primo esportatore di moda in Cina nel 2021
L’Italia segna un primato storico nelle sue relazioni commerciali con la Cina nell’ambito del fashion.
Secondo i dati forniti da Ice Pechino, e relativi al primo semestre dell’anno (gennaio-giugno 2021), la Cina ha aumentato del 46% le importazioni di articoli di tessile-moda dal mondo, mettendo il made in Italy in corsia di ‘sorpasso’.
Tanto che, per la prima volta, l’Italia ha guadagnato il primo posto nella classifica dei principali Paesi esportatori di moda in Cina, superando la Francia.
Entrando nel dettaglio dei dati, nei primi sei mesi dell’anno, l’import cinese di prodotti del sistema moda italiano è aumentato del 96% rispetto allo stesso periodo del 2020 (che aveva risentito di un calo), arrivando a quota 6 miliardi di dollari e conquistando una quota di mercato del 12 per cento.
La Francia, al secondo posto, si è ‘fermata’ a un +58% a 5,6 miliardi di euro, valore che le consente di ottenere una quota di mercato pari all’11 per cento.
Segue il Giappone (+22% a 5,1 miliardi di dollari), il Vietnam (+29% a 5 miliardi di dollari), e, considerando le top five tra i partner commerciali cinesi di prodotti moda, la Corea del Sud con un +18% a 3,6 miliardi di dollari.
I numeri si rivelano ancora più interessanti se si considera lo storico dei semestri dal 2019 al 2021.
Sempre secondo i dati raccolti da Ice Pechino, nel primo semestre nel 2019 il principale Paese da cui la Cina si approvvigionava sul fronte fashion era il Vietnam (4,1 miliardi di dollari), seguito dal Giappone (3,7 miliardi di dollari) mentre l’Italia era al terzo posto con 3,4 miliardi di dollari.
Un anno dopo, il primato era andato al Giappone (4,1 miliardi di dollari), seguito dal Vietnam (3,8 miliardi di dollari) e dalla Francia (3,5 miliardi di dollari). con l’Italia scivolata al quarto posto con poco più di 3 miliardi di dollari.
Ecco che, quindi, l’exploit del 2021 diventa ancora più significativo, facendo in pratica balzare il made in Italy dal quarto al primo posto.
Dietro ai numeri si cela una situazione in divenire in Cina, con un trend che si era già evidenziato tra fine 2020 e inizio 2021.
La performance positiva è infatti da ascrivere primariamente a fenomeni di ‘introversione’ dei consumi interni.
La dinamica di questi ultimi non appare infatti esponenziale (nei sette mesi l’aumento delle vendite di beni di consumo è stato pari al 20,7% rispetto allo stesso periodo del 2020, con una crescita media nei due anni 2020-21 del 4,3%) e si mantiene ancora relativamente inerziale rispetto alla crescita dei fattori di offerta (produzione industriale, esportazioni).
Di conseguenza, la spiegazione del fortissimo aumento degli acquisti dall’Italia di prodotti tipici del modello di specializzazione internazionale tradizionale, soprattutto pelletteria, gioielleria, cosmetica e profumeria, abbigliamento, calzature, è probabilmente da ricercare nel reindirizzamento dei consumi verso brand di lusso che ora vengono acquistati all’interno mentre precedentemente si acquisivano in occasione di viaggi all’estero.
A ciò si aggiunge anche l’ormai celebre ‘revenge spending’ post lockdown.
Non sono gli unici aspetti. L’influenza della ‘chiusura’ di Hong Kong, tradizionale hub commerciale regionale per i beni di lusso, non è un elemento di secondaria importanza.
Precedentemente, tali prodotti venivano importati illegalmente in Cina continentale, ma ora, con le restrizioni logistiche, devono affiorare gioco-forza nelle statistiche di importazione. Il fenomeno è particolarmente evidente soprattutto per la gioielleria.
Riccardo Dinoves
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