L’affumicatura, il nuovo gusto che piace sempre più
Quattro erano i gusti (dolce, salato, amaro e acido) ai quali si è aggiunto il quinto gusto dell’umami e ora s’incomincia a parlare del gusto di grasso e di fritto e certamente non ultimo sarebbe anche il gusto di affumicato.
Senza discutere se all’aroma di affumicato in tutte le sue variazioni corrisponda un gusto, è indubbio che gli alimenti affumicati da necessità si sono trasformati in una tendenza edonistica che sta interessando ogni tipo di alimento, divenendo oggetto di attenzione da parte dell’industria alimentare.
Attualmente sapori affumicati stanno avendo un incremento e negli USA interessano anche nuovi settori come quelli dei dessert (+150%) e perfino dei cocktail (+27%).
Affumicare inoltre non è più soltanto un procedimento industriale o un privilegio per pochi e si stanno diffondendo tecnologie che vanno dai kit e dagli affumicatori a caldo agli infusori a freddo con vendite in continuo aumento.
L’affumicatura nasce come esigenza di conservazione delle carni, dei pesci e dei formaggi all’alba della civiltà umana, ma forse anche prima perché non si può escludere che i nostri progenitori preumani non amassero mangiare le carni affumicate di animali morti durante i non rari incendi delle foreste.
Soprattutto nelle aree settentrionali con scarsità di sole e di sale si affumicavano carni, pesci e formaggi usando legni di faggio e altri legni aromatici.
Oltre mille sono i costituenti del fumo, qualche centinaio quelli ben identificati, la cui composizione varia in funzione di diversi fattori con attività antimicrobica (soprattutto in superficie e determinata dalla formaldeide, composti fenolici ed acidi organici), azione antiossidante (composti fenolici: pirocatecolo, guaiacoli, eugenolo), formazione del colore (interazione composti carbonilici con reazione simile a quella di Maillard, sinergica di fenoli e di altri composti di polimerizzazione e formazione di nitroso-mioglobina, in relazione anche al tipo di legno.
Legni duri: giallo, marrone; legni teneri: colore scuro), creazione di aroma (composti fenolici: guaiacoli, 4-metilguaiacolo; 2,6-di-metossifenolo), costruzione sull’alimento di una “seconda pelle”.
Secondo le autorità che si occupano di cancerogenesi e di sicurezza alimentare e tra queste quella europea (EFSA), alcuni degli aromi utilizzati per dare il gusto dell’affumicatura (tra questi alcuni idrocarburi policiclici aromatici) sono cancerogeni con livelli di tossicità vicini a quelli considerati pericolosi, anche se questo non significa necessariamente che le persone che consumano questi ali-menti siano a rischio, poiché il rischio cancerogena prende in considerazione sti-me superiori al reale consumo.
L’affumicatura degli alimenti per ottenere caratteristiche gastronomiche non è di oggi e la troviamo nella Roma imperiale di Marco Valerio Marziale (40 d. C. – 104 d. C.). Nel Liber XIII XENIA questo epigrammista descrive il Caseus fumosus: Non quemcumque focum nec fumum caseus omnem / Sed Velabrensem qui bibit, ille sapit (Il formaggio affumicato – Non sa di qualunque fumo, di qualunque fuoco/ Il formaggio che ha bevuto la fiamma del Velabro).
La tipicità non sta tanto nel formaggio, quanto nell’affumicatura con particolari legni eseguita nel Velabro (Velabrum), un’area pianeggiante di Roma, situata tra il fiume Tevere e il Foro Romano, tra i colli del Campidoglio e del Palatino, contigua al Foro Boario e al vicus Tuscus (borgo etrusco o via etrusca).
Nel Velabro sono presenti attività commerciali e produttive soprattutto alimentari e tra queste l’affumicatura dei formaggi, pratica che ne assicura una migliore conservazione e l’acquisizione di aromi particolari, anche in relazione al tipo di legno usato. Quali tipi di formaggi e di quale origine? Forse diverse, ma qui è più importante la loro affumicatura.
L’affumicatura di carne, pesce, verdure, formaggi e anche alcune bevande (birra, whisky, tè) è realizzata in vari modi e tecniche.
Tradizionali, nella produzione di alimenti affumicati sono l’affumicatura a freddo, a caldo e usando un sale affumicato.
Attualmente vi è anche il fumo liquido ottenuto dalla combustione di legni selezionati il cui fumo è condensato con acqua fredda, depurato e filtrato, ricco di sostanze aromatiche e povero di scorie indesiderate, che può essere iniettato, nebulizzato o impiegato nell’immersione del cibo, ottenendo un alimento più morbido e umido, meno conservabile ma più naturale e genuino.
L’affumicatura oggi è anche una tecnica di cucina e vi sono ristoranti nei quali si usano vari tipi di sali affumicati, piccoli box affumicatori, campane che trattengono il fumo o usano lo Smoking Gun, un affumicatore che produce fumo freddo e utilizzato per qualsiasi tipo di cibo o liquido.
Con questi mezzi è possibile conferire ai piatti, bevande e cocktail un leggero e giusto sentore di fumo, amplificando le caratteristiche organolettiche degli ingredienti, senza alterarne la temperatura.
Due sono le motivazioni di questi nuovi usi del fumo non più nella conservazione degli alimenti, ma in cucina e soprattutto in gastronomia.
La prima guarda al passato perché quando ci si accosta a un piatto con i sentori dei fumi sprigionati dai legni o dalle erbe di cottura si entra in un’area di subconscio che suscita un ambito o un’aura sensoriale ancestrale che si associa al crepitio del fuoco e all’aroma del fumo alla carne dei nostri progenitori.
La seconda guarda il futuro perché oggi l’affumicatura è diventata un’innovazione capace di donare ad ogni tipo di alimento, cibo o bevanda, eleganza e carattere, senza stravolgere il suo sapore di base o coprirlo eccessivamente
Questo avviene per esempio in diverse tipologie di distillati, anche se risulta particolarmente interessante in quelli che hanno una componente aromatica predominante come il gin, il whisky, il vermouth e diversi cocktail dove entra in gioco la possibilità di lavorare su nuove modulazioni.
Giovanni Ballarini presidente nazionale Accademia Nazionale della Cucina
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