L’inflazione prosegue nella crescita, è arrivata al 3,2%
La pandemia di Covid ha avuto un impatto molto pesante su tutti gli indicatori economici, dal Pil, ovviamente, all’occupazione, e anche su quello che una volta era il tema più sentito dai cittadini, il costo della vita. Anche l’inflazione in Italia, infatti, è stata toccata dalla pandemia.
Che cos’è l’inflazione? Indica il fenomeno per il quale col passare del tempo i prezzi di acquisto dei prodotti e dei servizi tendono in genere ad aumentare. Tuttavia, in alcuni periodi si può verificare una riduzione dei prezzi, definita deflazione.
Adesso abbiamo un’inflazione al 3,2%, in netta crescita rispetto rispetto ai mesi scorsi e agli ultimi anni.
Certo, non siamo tornati ai livelli degli ’90 quando avevamo era superiore al 5%, o a quelli degli anni ’70 e i primi anni ’80, quando era andata anche in doppia cifra, prima di essere abbattuta tramite accordi con i sindacati per una moderazione salariale.
Ma vediamo più nel dettaglio l’andamento dei prezzi degli ultimi anni dello scorso decennio.
In realtà prima della pandemia l’inflazione in Italia era più bassa che nel resto dei Paesi più ricchi e industrializzati dell’Occidente.
Tra l’ottobre del 2017 e l’inizio del 2020 non aveva mai raggiunto il 2%, toccando un massimo nel luglio 2018 solo dell’1,9%.
Mentre nel resto d’Europa e negli Stati Uniti era arrivata quasi al 3%. Anche in quella Germania che per decenni era riuscita a tendere l’inflazione bassa, approfittandone in termini di competitività.
L’aumento robusto dei salari e della spesa pubblica negli ultimi anni ha alimentato una inflazione più robusta della nostra, dove gli stipendi crescono molto meno e la domanda è da tempo asfittica.
L’inflazione italiana è stata la più bassa anche nel 2019, quando gli incrementi dei prezzi sono stati man mano più piccoli un po’ ovunque. Con il Regno Unito a risultare il Paese con l’inflazione più alta. In Italia con un aumento dei prezzi solo dello 0,2% si è sfiorata la deflazione già tra settembre e novembre.
Poi il Covid ha accentuato la tendenza già in atto. La deflazione si è ripresentata anche durante la prima fase della pandemia quella più acuta, anche se questa volta è arrivata con dinamiche diverse.
Ci sono stati, a differenza che negli anni precedenti, beni i cui prezzi sono cresciuti e altri in cui sono crollati, con una disuguaglianza molto spiccata che del resto è stata la cifra di tutta l’economia durante questa pandemia, anche in altri ambiti come per esempio l’occupazione
Se a marzo e aprile l’inflazione in Italia è stata quasi nulla, limitandosi al 0,1%, da maggio, quando si è toccato il -0,3% si è scivolati ufficialmente in deflazione fino a dicembre, con la sola eccezione del luglio 2020 quando c’è stato un picco del 0,8%.
La Germania è stata interessata dalla deflazione per meno tempo tra agosto e gennaio 2021, mentre USA e Regno Unito non sono mai andate in territorio negativo.
Il calo dei prezzi del 2020 è quasi interamente dovuto al crollo dei prezzi dell’energia. Che ha avuto effetti sul costo della benzina o dell’elettricità, diminuiti anche di più del 10%.
Questi hanno compensato incrementi, più lievi, ma presenti, nell’ambito dei beni alimentari, cresciuti fino a un +4% per alcuni prodotti. In aprile per esempio il carrello della spesa, intendendo i prodotti che vengono comprati al negozio o al supermercato, ha visto un’inflazione del 2,5%, contro il 0,5% medio del periodo precedente.
Questa inflazione è rimasta anche dopo l’estate a livelli superiori, intorno all’1%.
Ma c’è anche un’altra ragione per cui l’inflazione in Italia potrebbe non essere stata percepita realmente così bassa, ed è strettamente legata alla pandemia stessa. Potrebbe effettivamente non essere quella reale.
Questo perché normalmente i calcoli dell’inflazione tengono conto del consumo effettivo, e si pesa l’aumento di prezzo di un bene per quanto e quanto spesso questo viene effettivamente acquistato in un anno.
Le persone per esempio si sono spostate molto di meno, e quindi il calo del prezzo della benzina non ha realmente avuto un grande impatto. Mentre ha dovuto fare la spesa in negozi di vicinato più cari del supermercato più lontani in cui non si è più andati.
E questo non è stato tenuto in conto, secondo alcuni economisti, nelle statistiche ufficiali.
Da inizio 2021, però, è cambiato tutto. L’inflazione in Italia e nel resto del mondo ha ripreso a salire. E la ragione è legata all’uscita dall’emergenza pandemica, almeno dalla fase più acuta, e alla fine delle restrizioni. La ripresa delle attività ha portato a una sorta di boom della domanda, come in un dopoguerra, che è corrisposto a una crisi dell’offerta.
Nel 2020 a livello globale erano state interrotte molte produzioni, si erano bloccati porti e infrastrutture logistiche. La loro riattivazione è stata lenta, e non ha tenuto il passo dell’incremento degli investimenti e dei consumi in Europa e Nordamerica.
Si è verificata una strozzatura della supply chain che trasporta prodotti finiti o semilavorati dall’Asia all’Occidente. E come sempre in economia una tale tensione tra domanda e offerta porta a un incremento dei prezzi.
A essere impattato è stato in particolare il settore dei semiconduttori, ormai importantissimo per l’ambito IT e non solo, e quello petrolifero e dell’energia. I problemi della catena di approvvigionamento si sono sommati a una maggiore richiesta di carburante e alla prudenza dei produttori che non hanno aperto i rubinetti come sperato.
Il risultato è stato un prezzo del petrolio che è arrivato a più di 86 dollari al barile a fine ottobre, più che raddoppiando rispetto ad alcuni valori raggiunti durante i ribassi del 2020.
Tutto ciò ha provocato una rapida fiammata dell’inflazione anche in Italia. Se a gennaio di quest’anno era solo dello 0,5%, ad aprile ha raggiunto l’1%, e durante l’estate è decollata, arrivando al 2,4% in agosto e poi al 2,7% in settembre e al 3,2% in ottobre.
Era dal 2012 che non si vedeva un carovita di questo tipo. E all’estero è andata ancora peggio. In Germania, Paese da sempre molto attento all’andamento dei prezzi, ha raggiunto il 4,6%. In Spagna il 5,4%, e negli Stati Uniti addirittura il 7,3%.
Al contrario di quanto accaduto per decenni, quindi, l’Italia nell’ambito dell’inflazione ora insegue. La speranza è che non vengano raggiunti i picchi che stanno interessando alcuni dei nostri vicini e gli Usa.
E che abbiano ragione quegli analisti che affermano che si tratti di una fase transitoria che rientrerà quando il mercato avrà saputo espandere l’offerta. Allo stesso tempo, tuttavia, sono concordi nel dire che non torneremo alla deflazione che abbiamo visto nel passato recente.
I dati si riferiscono al 2017-2021 Fonte: Eurostat
Piero Vernigo
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