12.000 aziende sono a rischio fallimento
Crisi d’impresa, licenziamenti via WhatsApp, delocalizzazioni. Gli effetti dello shock pandemico sulle imprese italiane continua a farsi sentire e le previsioni per il 2022, purtroppo, non sono rassicuranti.
Secondo il report Euler Hermes sulle insolvenze aziendali infatti, in Italia, il numero delle aziende in crisi finanziaria nel 2021 ammonta a 10.500.
Un numero che, secondo le previsioni, è destinato a raggiungere quota 12mila nel 2022.
La ragione? La graduale fine degli aiuti di stato alle imprese.
Ma quali sono le grandi aziende per le quali, nel corso del 2021, il Ministero dello sviluppo economico ha aperto un tavolo di crisi?
Ebbene, nel 2021 il governo italiano ha avviato il protocollo del Mise per la crisi d’impresa per 69 aziende.
Un numero piccolo rispetto al totale delle imprese a rischio fallimento composto per la maggior parte da Pmi.
Dei 69 tavoli aperti presso il Ministero dello Sviluppo Economico 55 sono attivi e 14 solo di monitoraggio, e riguardano i destini di decine di migliaia di lavoratori.
Un messaggio di gruppo mandato via WhatsApp, poi si chiude e si va ad aprire all’estero.
È successo anche questo nel corso del 2021, un anno durante il quale sono state diverse le grandi aziende che hanno deciso di chiudere le filiali italiane per delocalizzare in un altro Paese comunicandolo con un messaggino.
I casi più noti sono quelli della Gkn di Campi Bisenzio (bloccato dal tribunale di Firenze), della Caterpillar di Jesi, che ha annunciato la chiusura dello stabilimento entro marzo 2022 e ha già licenziato 270 dipendenti, vi è poi il caso, diventato simbolo della localizzazione selvaggia, dello stabilimento Whirlpool di Napoli, al 31° tavolo di crisi in tre anni.
L’azienda con più dipendenti per cui il governo ha aperto un tavolo di crisi è Acciaierie d’Italia, il più grande gruppo siderurgico italiano, con 10.600 dipendenti, nato con l’ingresso dello Stato tramite la partecipata Invitalia nel capitale di ArcelorMittal.
Il 15 dicembre l’azienda amministrata da Lucia Morselli ha fermato il reparto Pla2, dedicato alla produzione di lamiere, dello stabilimento siderurgico di Taranto.
Il gruppo conta però di tornare alla piena occupazione dei lavoratori entro il 2025.
È quanto è stato dichiarato durante il tavolo al Mise del 13 dicembre.
Durante questo incontro Acciaierie d’Italia ha presentato il nuovo piano industriale.
Obiettivo principale è arrivare alla completa decarbonizzazione dello stabilimento di Taranto.
L’intervento da 4,7 miliardi di euro punta a ripristinare la piena occupazione dei lavoratori entro il 2025 e di raggiungere la sostenibilità ambientale nella produzione di acciaio, tramite il passaggio dal carbone all’idrogeno e l’ uso di forni elettrici.
La seconda grande azienda con più dipendenti “tenuta d’occhio” dal Mise è Iveco con 8000 dipendenti, al terzo posto troviamo Abramo Customers, azienda con sede in Calabria che effettua il servizio di customers care tramite call center, con 5mila dipendenti.
Il Ministro sello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha comunicato che in generale nel secondo semestre del 2021 si sono tenuti 38 incontri presso il Ministero, che hanno coinvolto 25 delle 69 aziende in crisi.
Il 10 dicembre si è insediata una Struttura di crisi d’impresa, che dovrà gestire in modo ordinato e trasparente i tavoli di discussione.
Tra i più recenti vi sono stati quelli che hanno coinvolto la già citata Gkn di Campi Bisenzio, che appena prima di Natale è stata acquisita dall’imprenditore Francesco Borgomeo, che in precedenza era advisor della vecchia proprietà, il fondo inglese Melrose.
I licenziamenti dei 422 dipendenti sono stati così sventati.
Un altro incontro ha riguardato la Jabil Circuit, azienda di 480 dipendenti di cui, però, 230 sono stati dichiarati in esubero.
Una parte di questi sarà assorbita da un’altra azienda, TME, che si occupa di assemblaggio, e che assumerà 50 persone a trimestre.
Invitalia costituirà con TME una newco proprio per realizzare questo assorbimento di personale.
Nel frattempo sarà utilizzata per tutti i dipendenti in eccesso la Cassa integrazione.
L’Italia sta registrando un aumento delle aziende in crisi dopo la diminuzione dei default aziendali avvenuta nel 2020 grazie agli aiuti statali alle imprese.
Nel 2020 infatti le insolvenze in Italia sono scese fino al -32%, con 7.160 casi, il numero più basso dal 2008.
Una discesa che non viene confermata dai numeri del 2021 anno nel quale, nei primi otto mesi, l’aumento delle imprese italiane in crisi è stato del 50,2%.
Nonostante questi dati poco rassicuranti è da sottolineare come il numero di aziende in crisi sia decisamente in calo rispetto al 2014 anno in cui le imprese italiane a rischio fallimento raggiunsero il record di 14.735.
Ma quali sono i settori industriali più in crisi?
Partiamo con uno sguardo agli ultimi dati disponibili relativi al report Istat 2021 sulla competitività dei settori produttivi, che offre una panoramica aggiornata ad aprile 2021, e confrontiamoli con gli ultimi report aggiornati a settembre 2021.
Analizziamo prima di tutto i valori relativi al crollo del valore aggiunto dell’industria italiana che scende dell’11,1%.
La percentuale di deficit raggiunge l’8,1% per il settore dei servizi, il 6,3% nelle costruzioni e il 6% per il settore agricolo.
Per i settori del trasporto, del commercio e per alberghi e ristorazione l’incremento di valore scende invece del 16%, colpite in questo comparto sono soprattutto le attività artistiche per le quali il crollo produttivo è sceso del 14,6%.
Sempre secondo l’ultimo report Istat le imprese fragili e a forte rischio strutturale rappresentano il 49% delle imprese italiane e sono soprattutto Pmi.
Un dato che s’impenna per il settore delle attività e dei servizi alla persona che mostra come in Italia le aziende in crisi in questo settore siano addirittura il 92,1%.
Percentuali molto alte riguardano anche il settore dello sport e dell’intrattenimento 85,5% e quello dell’abbigliamento 73,2%.
E le aziende solide? Le aziende italiane strutturalmente solide e lontane dal rischio di fragilità sono solo l’11% ma, dato importante, rappresentano il 46,3% dell’occupazione e il 68,8% del valore aggiunto.
Sono quindi le micro e le piccole imprese a subire più di tutti gli effetti dello shock finanziario dovuto alla crisi pandemica.
Ma quali sono le regioni con le imprese più a rischio fallimento?
Gli effetti territoriali della crisi economica hanno portato 11 regioni italiane in una situazione critica per la dinamica del fatturato, i rischi operativi e le strategie di risposta.
La maggior parte delle aziende a forte rischio di fallimento si trova nel Mezzogiorno (7 regioni) e nel Centro (3 regioni) nel Nord invece a fare i conti con la crisi è solo la Valle D’Aosta.
La regione italiana dove l’imprenditoria è più in crisi è la Sardegna dove ben il 69,2% delle aziende versano in uno stato di massima fragilità, segue la Sicilia con il 43,7% e la Valle D’Aosta con il 40%.
Vediamo ora gli ultimi dati aggiornati dell’Istat a ottobre 2021.
L’ultima rilevazione mostra incrementi di fatturato nel settore energia del +49% rispetto allo stesso mese del 2020, e nei beni intermedi +30,7%.
A crescere, ma in misura più contenuta, è anche il settore dei beni di consumo +12,8%.
L’aumento generale dei ricavi dell’industria a ottobre 2021 è dello 2,8% rispetto a settembre.
La ragione? L’andamento positivo del mercato interno, che ha messo a segno un +19,4%.
Nei primi dieci mesi del 2021 infatti la crescita dei ricavi interni è stata del 25,5%, dovuta soprattutto all’aumento della vendita di prodotti in metallo +42,5%, e di coke e prodotti petroliferi raffinati, +32,1%
I dati si riferiscono al 2020-2021 Fonti: Istat, Mise, Euler Hermes
Riccardo Dinoves
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