L’aumento di energia frena la ripresa e la crescita
“Il caro energia è un problema fondamentale per il sistema italiano che sta minando la ripresa e la crescita a cui stavamo assistendo e che rischia di mettere a repentaglio la competitività degli anni a venire. Di strategico, c’è a rischio la sopravvivenza del sistema industriale italiano. Per le sole commodity (al netto di tutti gli altri elementi che compongono la bolletta), noi nel 2019 abbiamo pagato 8 mld, nel 2020 5 miliardi, nel 2021 21 miliardi. Nel 2022 prevediamo spese per 37 miliardi: è come se avessimo scaricato una finanziaria sul sistema industriale, a parità di produzione. Così il sistema non può reggere. È un fardello straordinariamente pesante”.
Ad affermarlo è Aurelio Regina, delegato del presidente di Confindustria per l’Energia, all’evento di Confindustria Cuneo ‘Arginare il caro energia: le proposte di Confindustria’
“Il Paese deve assumersi la responsabilità di mettere in piedi una visione strategica di medio e lungo periodo perché il problema è strutturale e il costo rimarrà alto anche in futuro”.
“È un periodo complesso, unico nella sua storia. Ed è un problema delicato anche a livello geopolitico: per esempio anche il conflitto tra Ucraina e Russia influirà in modo sostanziale su questi equilibri in un mercato già volatile. Già i prezzi sono aumentati del 30%. All’interno della stessa Europa, Francia e Germania stanno tutelando i loro sistemi industriali con strategie diverse, ma efficaci che hanno consentito alle imprese di usufruire di prezzi scontati per fronteggiare i rincari senza precedenti. In questo modo questi paesi hanno messo al riparo i loro sistemi industriali”, sottolinea Regina.
L’Italia, invece, aggiunge, “adesso ha anche un problema di competitività. Per quanto riguarda poi i titoli di Co2, nel mercato delle quote Co2 i prezzi sono condizionati da una partecipazione sempre maggiore di operatori finanziari che sviluppano manovre speculative mentre serve equilibrio e responsabilità”.
“È paradossale che l’Italia si trovi in questa situazione perché noi abbiamo fatto la scelta di trasformarci in maniera decarbonizzata prima degli altri, abbiamo trasformato a gas le nostre centrali, abbiamo fatto una produzione di energia elettrica pulita e nonostante questi sforzi ci troviamo più in difficoltà degli altri. Il nostro sistema industriale negli ultimi 10 anni è passato da 561 milioni di tonnellate di Co2 a 430 milioni senza chiedere denaro pubblico né italiano né europeo”.
“Abbiamo fatto sforzi enormi e prima degli altri paesi per la conversione verso il gas ma siamo doppiamente penalizzati quando invece il gas è per noi fondamentale per finanziare quei processi di riconversione alla transizione energetica. Per quanto riguarda poi le estrazioni, noi dipendiamo da un solo Paese, la Russia. Il Tap oggi trasporta 5/6 miliardi di metri cubi ma possiamo potenziarlo ancora. Dobbiamo assicurare gli approvvigionamenti e stabilizzare i prezzi. È un tema di competitività con i nostri principali competitor”.
Anselmo Faidit
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