Turismo di massa lontano dalle tradizioni alimentari
Il Grand Tour è il viaggio che i ricchi dell’aristocrazia europea del XVII secolo intraprendono per perfezionare il loro sapere, di solito ha come destinazione l’Italia e durante il quale i giovani conoscono la politica, la cultura, l’arte, le antichità e imparano anche i costumi alimentari e le cucine di luoghi e paesi visitati.
Durante il suo Grand Tour Johan Wolfgang Goethe (1749 – 1832) in Sicilia (1795) scrive il breve canto Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Oggi il Grand Tour è sostituito da un turismo di massa con viaggi di gruppo programmati da operatori turistici, riguarda solo pochi beni culturali e nelle città provoca fenomeni negativi.
Nelle città d’arte la visita turistica si svolge in un breve percorso con una rapida visita di alcuni monumenti e di uno o due musei, mentre al di fuori del circuito turistico la città è vuota come nel caso di Venezia.
Durante un “turismo mordi e fuggi” i partecipanti fanno fotografie e non mancano d’acquistare dei souvenir di dubbio gusto come quelli anche a “palla di neve” con la Torre di Pisa, il Colosseo di Roma, le Due Torri di Bologna o la gondola di Venezia e in questo quadro rientra anche il turismo gastronomico.
Gli effetti e le conseguenze dettate dall’attività turistica sono definiti con l’espressione anglosassone turistification, in lingua italiana turistificazione, secondo la definizione di Friedrich von Borries riportata da Clara Zanardi in “La città è di chi la visita? Breve percorso nel turismo urbano in Italia”.
La turistificazione modifica i quartieri e i luoghi battuti dai turisti e dove per loro si stabiliscono economie mono-strutturali di cui hanno bisogno (caffè, bar, supermercati, negozi di souvenir), trascurando le esigenze degli abitanti e la storia della città, l’ambiente urbano e la vita cittadina, trasformando parte della città in non-luoghi indifferenziati che cancellano peculiarità storiche e sociali.
La turistificazione non riguarda soltanto l’arte ma anche gli alimenti locali, le tradizioni e le ricette di cucina e la gastronomia delle città e dei territori.
Per rendersene conto è sufficiente vedere in Internet l’infinità di offerte di un turismo gastronomico che si riduce alla visita di impianti di produzione di alimenti raramente artigianali e tradizionali ma sempre industriali (caseifici, salumifici alimentari, cantine, birrerie e altre industrie) e relativi assaggi.
Nelle città e a compimento di una rapida visita di monumenti e qualche museo, il turista è invitato a quello che è spesso definito come un “viaggio nel gusto” nel quale spesso compaiono piatti che della tradizione hanno solo il nome o anche questo è stato modificato, se non inventato, per renderlo adatto alla turistificazione alimentare.
Molti piatti della tradizione sono destagionalizzati, quasi assenti sono i piatti di non facile accettazione da parte della maggioranza dei turisti, iniziando dalle frattaglie e dalle carni di molti animali, scarseggiano inoltre i piatti di un tempo popolari e che non rientrano nei moderni costumi della tavola, come le minestre in brodo, e infine molti piatti tradizionali sono “rivisitati” e adattati ai costumi dei turisti.
Nel quadro di una turistificazione della tradizione alimentare a Bologna, per esempio, tradizionalmente si mangiavano le tagliatelle di farina di grano tenero e uova condite con il ragù di carne ma con la turistificazione gastronomica si sono inventati gli spaghetti alla bolognese molto noti all’estero, che il turista si aspetta di trovare a Bologna e che gli sono offerti perché di più agevole preparazione in una ristorazione di massa.
In modo analogo avviene per altri piatti con denominazioni tradizionali turistificate. Figli di una turistificazione alimentare sono anche i souvenir alimentari offerti ai turisti e al riguardo basta consultare Internet per vedere per ogni città quanti e quali siano le confezioni, a volte da piccoli artigiani ma soprattutto da industrie, che di tradizionale a volte non hanno altro che il nome.
Con il turismo di massa la statuetta della Torre di Pisa, la gondola veneziana con carillon, i finti merletti a tombolo sono accompagnati o sostituiti da souvenir gastronomici di dubbia origine e a volte spacciati come tipici perché il turismo di massa falsifica.
Non sappiamo ancora quale potrà essere il turismo post-pandemia, ma bisogna sperare che possa essere un turismo esperienziale e ambientalista di viaggiatori che non vogliono più essere spettatori passivi di bellezza, cultura e bontà, ma farne attivamente parte, conoscendo luoghi, tradizioni e riconnettendosi con la natura anche attraverso gli alimenti e la loro trasformazione in cibo.
Il turista dovrebbe essere riportato a quello del Grand Tour del XVII secolo facendolo partecipare attivamente alla cultura del cibo per conoscerne le realtà attraverso degustazioni in itinerari e tour personalizzati che spaziano dalla gastronomia alla cultura ai paesaggi, vivendo un’esperienza che permetta di scoprire abitudini e tradizioni e l’autenticità di territori.
In Italia le possibilità di un turismo esperienziale e ambientalista non mancano e per questo molto gravi sono i pericoli dell’attuale turistificazione che falsifica cibi e piatti tipici.
Giovanni Ballarini presidente Accademia Nazionale della Cucina
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