Tempesta finanziaria perfetta tra guerra e pandemia
I mercati appaiono in ripresa dopo cinque chiusure settimanali negative consecutive.
Tra i listini asiatici Tokyo chiude invece in rialzo dello 0,58%, sulla scia dell’arretramento del prezzo del petrolio. I future a Wall Street e quelli in Europa sono anch’essi in rialzo.
I mercati auspicano progressi nei negoziati sull’Ucraina, anche se la guerra imperversa e Mosca ha intensificato i bombardamenti sulle città ucraine, estendendoli all’era ovest di Leopoli, verso la Polonia.
C’è anche grande attesa per la riunione della Fed, che mercoledì avvierà il primo di una serie di aumenti dei tassi.
Il giorno dopo toccherà alla Banca d’Inghilterra rialzare il costo del denaro. Anche le banche centrali di Giappone, Indonesia, Taiwan e Russia s’incontrano questa settimana.
Sui mercati i cosiddetti indicatori di paura mostrano che nella fase attuale gli investitori sono spaventati ma, nello stesso tempo, tendono a riscaldarsi subito non appena sentono aria di accordo negoziale, di “passi in avanti”. “
Questo significa che, guerra permettendo, e se la Fed non sorprende, dunque conferma un rialzo iniziale dello 0,25% e altri 6-7 aumenti della stessa entità nel 2022, nonché una riduzione del bilancio graduale, potremmo assistere a un po’ di recupero. Insomma, siamo ancora in una fase di rimbalzo.
Intanto l’ambasciata di Pechino a Washington fa sapere di “non aver mai sentito parlare” di una richiesta di armi fatta alla Cina dalla Russia, come affermato invece da fonti Usa citate dal Financial Times e della Cnn.
Riprendono oggi i colloqui tra la delegazione di Mosca e quella di Kiev in videoconferenza, dopo che Mosca ha più volte accennato a “progressi”.
La speranza che i negoziati portino a riaprire i porti sul Mar Nero fa scendere un po’ i prezzi del grano e del mais saliti alle stelle. Salgono quelli della soia per una stretta in Argentina. Il prezzo dell’oro cede lo 0,5% a 1,975.70 dollari l’oncia.
Mercoledì prossimo la Federal Reserve inizierà a rialzare i tassi di interesse.
Joe Biden ha un compito preciso: ridurre l’inflazione.
E per combattere l’inflazione, c’è un solo modo: rialzare i tassi. Tuttavia Powell, presidente della Federal Reserve, sa che dovrà farlo con cautela, perché se rialza troppo i tassi, o lo fa troppo in fretta, finirà per spaventare i mercati e per azzerare la curva dei rendimenti, cioè rischia di far salire i tassi a breve più di quelli a lunga scadenza, il che per le Borse rappresenterebbe un segnale di recessione. Per cui deve agire gradualmente: puntare su un atterraggio morbido.
In che modo? La risposta è un po’ tecnica ma sostanzialmente suona così: rialziamo i tassi gradualmente e contestualmente riduciamo il bilancio, ma puntando sui reinvestimenti senza per ora procedere anche a vendita di titoli.
Per questo mercoledì i ‘radar’ dei mercati saranno puntati soprattutto sui tempi e sulle modalità di riduzione del bilancio, che costituiranno uno dei pezzi forte delle proposte della Fed.
Insomma, molte delle future mosse della Fed dipenderanno dall’andamento dell’inflazione Usa. La settimana scorsa i prezzi al consumo di febbraio sono saliti al 7,9%, il top da 40 anni. Tuttavia gli analisti escludono che l’inflazione Usa abbia toccato il picco, dunque è destinata a salire ancora Quanto?
Non è al picco ma dovremmo esserci vicini. Il dato sull’inflazione Usa a marzo verrà pubblicato poco prima di Pasqua, a metà aprile. E a marzo peseranno ancora i rialzi dei prodotti energetici.
Attualmente il prezzo della benzina è salito al record storico di 4,3 dollari al gallone. Quindi impatterà sui dati di marzo.
Il picco potrebbe arrivare quel mese o ad aprile, dovrebbe attestarsi poco sopra l’8% e sarà interessante osservare se già a marzo-aprile comincerà a dare qualche segno di cedimento il ‘core’, cioè l’inflazione al netto dei beni energetici e alimentari.
La settimana scorsa la Bce è diventata più ‘falco’, ha deciso di agire contro l’inflazione, in modo più ‘soft’ della Fed, ma di fatto ha accelerato la riduzione dell’accomodamento monetario.
Insomma, Lagarde, come Powell, si è dovuta convincere che l’inflazione va combattuta, anche se per l’area euro aumenta il rischio di fronteggiare la stagflazione almeno un paio di mesi prima degli Usa, perché è all’epicentro della guerra ed è più dipendente degli americani dal gas e dal petrolio russo.
Giovedì prossimo, lo stesso giorno che la Boe annuncerà un nuovo rialzo dei tassi, sarà interessante verificare le posizioni della banca centrale europea, perché a un evento a Francoforte, interverrà tutto lo stato maggiore della Bce: il presidente, Christine Lagarde, il membro tedesco dell’esecutivo, Isabel Schnabel, il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco e il capo economista, Philip Lane.
La forte volatilità dei mercati è legata al timore che le vicende belliche e i prossimi rialzi dei tassi possano frenare la crescita senza riuscire a raffreddare l’inflazione. Insomma, la temibile stagflazione è dietro l’angolo. Che significa?
Diciamo che un’economia entra in stagflazione, quando soffre non solo per l’assenza di crescita ma anche per un forte rincaro dei prezzi.
La stagflazione in questo contesto diventa uno scenario sempre più probabile almeno per l’Europa e successivamente potrebbe interessare anche gli Usa.
Ci sono tutte le premesse perché si entri in stagflazione in Europa, dove l’inflazione è prevista sopra il 5% nel 2022 e la crescita è sotto stress. Diciamo che la stagflazione è attesa in Europa tra il primo e secondo semestre ed è in ritardo di almeno un paio di mesi negli Stati Uniti.
In questa fase l’Europa è più a rischio in quanto risente maggiormente dei crescenti prezzi dell’energia, mentre a proteggere gli Stati Uniti è la sua autonomia in termini energetici.
In Europa l’inflazione dipende in gran parte dal caro energia, una componente su cui i tassi incidono poco.
Riccardo Dinoves
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