Fallita l’utopia energia verde, Biden non se ne è accorto
L’aggressione russa in Ucraina sta modificando e sconvolgendo rapporti di forza, alleanze ed equilibri geopolitici, oltre ad avere un impatto enorme sulle politiche energetiche, dal momento che Mosca vende buona parte del gas utilizzato dai paesi occidentali.
Greta Thunberg, sardine e le tante promesse sul futuro verde e sostenibile fatto di energie rinnovabili sono un lontano ricordo: la realtà si è imposta sui sogni, mentre il realismo energetico è diventato una necessità.
Nucleare, fracking, centrali a carbone: al netto di “mosse” più o meno utili come quella di spegnere il riscaldamento un’ora prima, è di questo che si parla, oggi che l’obiettivo è quello di rendersi indipendenti il prima possibile da Putin.
Lo ha capito persino l’Unione Europea, che nella gara al taglio delle emissioni degli ultimi anni ha voluto essere la prima della classe, con il risultato di indebolirsi e diventare facilmente ricattabile proprio da Mosca.
Lo hanno capito i giornali che hanno smesso di lanciare allarmi quotidiani sul clima (l’ultimo catastrofista report dell’Ipcc è passato inosservato), lo hanno capito le imprese che producono energia, lo ha capito il governo Draghi, lo hanno capito gli elettori e i leader di mezzo mondo.
C’è solo una sola persona che, insieme a gran parte del suo partito, sembra non essersene accorta: il presidente americano Joe Biden.
Come ha scritto il Wall Street Journal, quando lunedì scorso Biden si è presentato alla sua prima raccolta fondi in vista delle elezioni di midterm del prossimo autunno «sembrava un uomo in una distorsione temporale».
Il cambiamento climatico «è la minaccia esistenziale per l’umanità», ha detto iniziando il suo discorso, per poi recitare la sua agenda ambientalista identica a quella su cui ha fatto campagna elettorale per le presidenziali oltre un anno fa.
Troppo distante dalla realtà che sta vivendo l’Occidente.
L’Ucraina è stata citata una sola volta, sottolinea l’editorialista del giornale americano Kimberley A. Strassel: «La sua amministrazione sta procedendo come se Vladimir Putin non stesse sfruttando il suo dominio energetico per uccidere gli ucraini. La Federal Energy Regulatory Commission ha recentemente annunciato una nuova politica di revisione dei gasdotti e tubature petrolifere che fermerà la maggior parte dei progetti. La Casa Bianca continua la sua quasi moratoria sui nuovi contratti di locazione per trivellare su terreni federali e il blocco di trivellazioni in Alaska».
Il presidente ha annunciato che «tenterà di imporre il suo Green New Deal tramite ordine esecutivo. L’House Progressive Caucus questa settimana ha offerto idee, invitandolo a “dichiarare un’emergenza climatica nazionale” e a usarla per vietare i “contratti di combustibili fossili” e costringere le aziende a costruire energie rinnovabili ai sensi del Defense Production Act».
Come detto, dall’altra parte dell’Atlantico le cose vanno all’opposto.
Gli europei avevano abbracciato la religione del clima «con un fervore che rivaleggiava con quello di Bernie Sanders. Eppure la scioccante violenza di Putin in Ucraina – la sua volontà di usare l’energia come arma – ha reso il continente concreto dall’oggi al domani. Nessuno rinuncia alle rinnovabili, ma nessuno più pretende che siano alla base dell’affidabilità o della sicurezza energetica».
Non si tratta di un derby tra catastrofisti e negazionisti, né di cinici petrolieri contro hippy che si fanno il bagno nella stessa acqua per un mese: nella migliore delle ipotesi i combustibili fossili resteranno una delle valute più preziose del potere globale per decenni, e l’invasione della Russia dimostra che non conviene essere al verde.
L’analisi del Wall Street Journal è lucida: «Il governo tedesco sta accumulando carbone e spedisce i terminali per il gas naturale liquefatto. L’Europa sta lavorando per ottenere più gas attraverso i gasdotti dalla Norvegia e dall’Azerbaigian. La Polonia progetta nuove centrali nucleari. Il Regno Unito potrebbe riavviare il fracking a terra e aumentare le perforazioni nel Mare del Nord. La Norvegia prevede di espandere l’esplorazione artica».
Negli Stati Uniti i repubblicani denunciano le ricadute su inflazione e costi energetici della guerra, e chiedono di accelerare la produzione di combustibili fossili, ma anche i media liberal e pro Biden stanno iniziando a preoccuparsi dell’incapacità del presidente di vedere cosa sta succedendo.
Biden definisce Putin «criminale di guerra» e manda aiuti militari ed economici all’Ucraina, ma la sua leadership evidenzia tutte le difficoltà dell’ex gendarme globale, impantanato in troppe crisi interne ed esterne.
E proprio sulle politiche climatiche, le quali giocano un ruolo di primo piano nella crisi ucraina, rischia di andare a sbattere contro un muro elettorale e inguaiare il proprio paese: «La scomoda verità», scrive ancora il WSJ, «è che l’agenda sul clima di Biden, con buona pace della stampa liberal, non è mai stata popolare. È un miscuglio di idee della sinistra progressista e degli attivisti radicali del partito».
Nei sondaggi gli americani fanno sapere che l’amministrazione dovrebbe diminuire la sua attenzione ai cambiamenti climatici e consentire maggiori esplorazioni di petrolio e gas naturale. «Vogliono energia e sicurezza economica, non stazioni di ricarica per auto elettriche».
L’invasione russa in Ucraina ha rimesso la sicurezza energetica al centro del dibattito politico, e lì resterà a lungo.
Ne usciranno “vivi” solo i governi e i politici che dimostreranno di comprendere il problema e di avere un piano per risolverlo, sapendo che tali scelte avranno conseguenze indirette anche sul conflitto.
Continuare a crogiolarsi nei luoghi comuni della crisi climatica “esistenziale” non serve più a niente.
Piero Vernigo
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