Carne da macello, i foreign fighters scappano dall’Ucraina
Un italiano di 46 anni, Edy Ongaro, combattente con le forze separatiste del Donbass, è stato ucciso in battaglia, nel villaggio di Adveedka, a nord di Donetsk, da una bomba a mano.
Si era unito alle forze filorusse nel 2015, con loro combatteva contro gli ucraini assieme ad altri foreign fighters giunti da tutta Europa. Edy «era un compagno puro e coraggioso ma fragile ed in Italia aveva commesso degli errori. In Donbass ha trovato il suo riscatto, dedicando tutta la sua vita alla difesa dei deboli e alla lotta contro gli oppressori», hanno scritto i suoi compagni del Collettivo Stella Rossa – Nordest.
Come lui sono migliaia le persone arrivate da ogni parte del mondo in queste settimane per combattere in questa guerra, soprattutto dalla parte dell’Ucraina.
«Perché dovrei sprecare la mia vita per niente? Un conto è combattere per la sicurezza dell’Ucraina e la salvezza dell’Europa, un altro è suicidarmi».
Sono queste le ragioni che hanno spinto Phil, veterano di 35 anni dell’esercito britannico, ad abbandonare l’idea di unirsi alla legione internazionale ucraina creata dal presidente Volodymyr Zelensky per contrastare la Russia.
Come altri ventimila foreign fighters, spesso esaltati dai media come eroici combattenti per la libertà in articoli che veicolano una visione romantica e irrealistica della guerra, anche Phil si è recato in Ucraina per combattere.
Ma dopo aver visto le condizioni del conflitto sul terreno e l’organizzazione dell’esercito ucraino, ha deciso di tornare indietro.
«Non voglio essere usato come carne da cannone», ha dichiarato a Vice.
Phil non è il solo foreign fighters a essere tornato a casa. La sua, come quella di tanti altri, è una storia che trova poco spazio nei media perché racconta della drammatica realtà della guerra che non lascia spazio a visioni romantiche ed edulcorate del conflitto.
Harry Vermeer, olandese di 36 anni, sposato con tre figli, era partito da Utrecht carico di ideali, belle intenzioni ed equipaggiamenti militari. Come racconta a Het Laatste Nieuws, appena arrivato in Ucraina ha fatto marcia indietro: «Sono stato avvicinato da alcuni reclutatori, ma anche da altre persone che mi hanno raccontato di soldati inglesi mandati al fronte con un vecchio Ak-47 e 12 proiettili, altri senza neanche quelli, subito uccisi. Non avrei avuto scampo, non aveva alcun senso».
Jesper Söder, di origine svedese, era uno delle centinaia di foreign fighters che aspettava ancora armi e addestramento nella base militare di Yavoriv, nella provincia di Leopoli, quando è stata attaccata dai russi il 13 marzo.
«Laggiù era l’inferno: bombe, missili, grida, panico. I russi sapevano esattamente dove colpire e dove eravamo, dove si trovavano le nostre armi», ha raccontato all’Associated Press. Circa 35 persone sono morte nell’attacco e Söder, che è riuscito a salvarsi, è subito scappato in Polonia alla testa di un gruppo di scandinavi, inglesi e americani.
Secondo altri volontari, «c’è molto caos e disorganizzazione. Molte legioni, molte false promesse, molta disinformazione. Troppe persone che non sanno neanche come si spara».
Secondo quanto affermato dal britannico Matthew Robinson, «puoi arrivare qui con i migliori ideali ma devi porti dei limiti. Anche se vuoi aiutare la gente, rischi di essere inviato al fronte in breve tempo e potresti risultare poco più che carne da macello».
Un gruppo di combattenti canadesi ha dichiarato al Globe and Mail di aver abbandonato l’Ucraina a causa della mancanza di equipaggiamenti militari e dopo aver dovuto firmare strani contratti.
«Pensavo che mi avrebbero armato, invece volevano mandarmi a fronteggiare i russi senza neanche un’arma», racconta Paul Hughes.
«Si sono segnati il mio numero di passaporto e mi hanno chiesto di firmare un contratto che mi avrebbe impedito di abbandonare il paese a meno di ottenere il permesso», spiega Mark Preston-Horin.
«Mi sono rifiutato e me ne sono andato subito, anche perché non mi avrebbero dato né armi, né giubbotti antiproiettile, neanche un elmetto».
Aggiunge poi: «Credo che questa legione internazionale sia stata concepita come strumento di propaganda per dare l’impressione che il mondo intero stia combattendo contro la Russia di Putin. Ma non hanno niente che faccia pensare a una vera unità internazionale».
Secondo un rapporto del Het Laatste Nieuws, oltre metà dei foreign fighters belgi sono già tornati a casa perché, come spiega uno dei rientrati, «c’è differenza tra combattere ed essere mandati al massacro».
Lo raccontano bene a Vice due soldati che hanno combattuto in Afghanistan con la Nato, uno americano e uno polacco, secondo i quali «i soldati sono male equipaggiati e schiacciati dalla superiorità dei russi. Alcuni tra i volontari, inoltre, abusano di droghe. Combattere con gli Stati Uniti e la Nato era un’altra cosa, c’erano supporto aereo, personale medico, logistica, armi, intelligence. Qui in Ucraina non c’è niente di tutto questo».
Quando è scoppiata la guerra, spiega ancora il veterano britannico Phil, «la mia prima reazione è stata: “Devo fare qualcosa, devo aiutare, devo andare e combattere”.
Dopo aver visto la situazione, però, ho cambiato idea». Phil è ancora dell’idea di aiutare l’Ucraina e si è reso disponibile per lavori di tipo umanitario o per l’addestramento delle reclute.
Per tutto il resto, concorda con il canadese Mark Preston-Horin: «A chi ancora voglia partire per l’Ucraina, dico: non andate, non sprecate il vostro tempo e la vostra vita».
Guglielmo d’Agulto
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